domenica 21 ottobre 2007

Il Treno

Sono ormai anni che usufruisco, quotidianamente, dei treni delle Ferrovie Italiane. In questi ultimi tempi, per motivi vari, ho usufruito di tratte a lunga percorrenza. Il malessere che affligge questo tipo di trasporto è multifattoriale. E per questo, come il cancro, sarà difficilmente eradicato.

Premetto che non intendo attribuire completamente la colpa all'ente TreniItalia.

Racconto brevemente ciò che si ripete, ogni sacrosanta mattina, pomeriggio e sera, di quello che succede a me, a te, a noi che utilizziamo il suddetto mezzo di locomozione, premettendo che a fascia oraria che frequenti, anche differenti caratteristiche balzano all'occhio più indifferente.

L'andirivieni dei treni, scandito in base all'orario ufficiale delle ferrovie, dovrebbe essere ogni 15 minuti, (mezzora in piu' mezzora meno). Il ritardo sintomatico, che ormai affligge questa e a sentir dire, tutte le altre tratte d'Italia, è quasi inconcepibile. Molti treni "nascono" da Roma termini, e partono in ritardo, dopo 14 km e una sola fermata, un ritardo di 5 minuti diventa di 20, a fronte di una "percorrenza" ufficiale di 20 minuti. Quindi per arrivare alla stazione ferroviaria, il treno, ci mette esattamente il doppio. Come fare Roma napoli invece che in due ore, in quattro.
Le interviste che mi sono permesso di fare ai "controllori", (quasi sempre assenti), o al capotreno, implicano la colpa ai passeggeri che ci mettono troppo a salire o a scendere dal mezzo.
Non voglio commentare simili affermazioni.

Le fermate sulle tratte sono al massimo quattro, effettivamente ci vuole un pochino per salire, nelle ore di punta, infatti come tanti pezzi del tetris, incastoniamo tra di noi zaini, mani, valige borsette e portatili. Non oso pensare se, qualcuno ignaro, ha usufruito della toilette di questi treni regionali.

Ma non sono qui a scrivere per parlare del disservizio, ma dell'abitante del treno. Ovvero tutto cio' che ne consegue da un'attenta osservazione di abitutini, paranoie, fisime che ognuno di noi ha, non ultimo l'onnipresente egoismo che talvolta accomuna ognuno di noi.

La distinzione, o meglio la major categoria è quella tra "viaggiatori" di breve tratta e quelli di lunga.

Segue poi le sottocategorie Manager vs. Operaio/Impiegato.

Ulteriore sottocategoria dell'Operaio/Impiegato è straniero, non straniero.

Mi levo subito da davanti quelli di lunga tratta. Entrano tutti compiti, difficilmente vestiti male, è piu' facile su questi treni catturare un sorriso, o vedere una faccia leggermente piu' rilassata. Anche l'operaio che si rechera' a Milano per affiggere il volantino ci apparirà "diverso". Tutti hanno però l'atteggiamento da semimanager, e quello pratico, lo vedi da come cerca il posto a sedere. L'abituato, guarda solo due volte la numerazione dei posti, se non addirittura fa il calcolo dei sedili, arriva spavaldamente, si blocca di colpo, fermando la fila, si svuota le tasche, telefonini, almeno tre, immancabile Sole 24 ore, valigetta con centomila fogli, che danno piu' sensazione di importanza che di reali contenuti. Finito ciò con destrezza, alla Matrix colloca la valigia sul ripiano in alto.


Il Lunga tratta poco pratico, lo identifichi esattamente dal contrario. Blocca la fila appena salito, chiede insistentemente se il numero della carrozza è quello giusto, non capisce quasi mai la numerazione dei posti rispetto alla prenotazione, non conosce, se il suo posto è vicino al finestrino o lato corridoio. Non ha giornali o quotidiani, (spera sempre in un omaggio invito alla lettura), al massimo una settimana enigmistica, una cocacola e un tramezzino dentro una busta di carta bianca. A lui, se non dorme, il treno non gli passerà mai a meno che non prendera' in mano il gioco contenuto nel suo telefonino e con il rumore dei tasti, si stordira' o ci stordira' bene bene.

Però attenzione... a tutti accomuna un elemento.

La suoneria maledetta del cellulare, complemento del timbro vocale altissimo che ogni sacrosanto viaggio ci riserva nel massimo del suo rumore e rottura di ...

Nulla vale l'avviso di parlare con un tono di voce basso, e di diminuire il volume, o addirittura di annullare, le suonerie dei 150 telefoni a fronte di 60 passeggeri. Sapete perchè ? ce lo spiega Einstein, purtroppo tutto è relativo.

Quale buon e miglior momento per scegliere o scaricare l'ultima suoneria, visto che stiamo sul treno e il tempo deve pure passare ? Quale miglior momento di provare la combinazione suono/tasto e crearsi una melodia personalizzata sul treno.

La signora mezzza sorda che ha la suoneria al massimo, essendo appunto sorda, il telefono è basso, quindi a lei l'avviso non la colpisce. Il signore che ha la suoneria a 120, per lui non è alta, senno' l'avrebbe abbassata anche fuori dal treno, quello che ce l'ha a zero o bassissima, è un povero cristo, non sentirà mai il suo telefonino. L'ultimo è il personaggio che si adegua, tutti hanno la suoneria alta e io la metto ancora piu' alta.

Bene a tutti questi fantastici personaggi, auguro la cosa più cattiva che si può augurare, "ve potesse scoppia' un dente, vi odio, magari crepate sommersi da centomila altoparlanti che emettono pianti lancinanti di bambini, ve lo meritate egoisti del c.... , aggiungendo inoltre che tali telefonisti, non sapranno mai cosa i partners stanno facendo.

Ben diverso è l'ambiente proletario delle brevi tratte.

Manager impiegati operai, tutti uguali, sopratutto all'arrivo a destinazione alla mattina. Giacche che ricordano vagamente un'avvenuta stiratura, camice stessa sorte, ragazzi, più furbi, che hanno ottimizzato, non stirandole proprio. I cellulari, suonano, ma fortunatamente con un suono ovattato, infatti nessuno riesce a tirarli fuori dalla borsa, tasca, zaino. A quello che lo ha in mano, non squilla mai, sempre per la famosa legge della relatività. I visi dei "pendolari" sono già stanchi di prima mattina, già pesa tutto, è normale, la prima cosa che vorresti fare appena arrivato a lavoro è quello di farti una doccia e stenderti sul letto, ma non è cosi. Si intravedono i giovani studenti e dai loro visi si capisce subito se hanno un esame o un compito in classe.
Pero' il pendolare è anche egoista. E' il classico tipo che se trova un posto a sedere con uno vuoto attiguo, ci parcheggia inesorabilmente la valigetta, il borsello o lo zaino. Quando, gli chiedi di spostarlo, per metterti seduto, (con diritto acquisito dato che hai l'abbonamento o il biglietto), ti guarda con un aria scocciata, quasi di sufficienza, pensando tra se questo proprio qui, dopo una giornata di lavoro, si vuole mettere seduto).
Allo straniero e anche dell'extracomunitario, dedichero' un post tutto per loro.
Sui treni regionali, si assiste ad una sintomatica mancanza di pulizia, che a torto, viene interpretata come autorizzazione a sporcare di piu', (cosi' magari puliscono prima), ma ricordiamoci che la sporcizia, viene anche e sopratutto generata da noi. La prossima volta che vedete il solito ragazzetto che si sdraia sul sedile e poggia i piedi su quello davanti, senza nemmeno poggiare un giornale sotto le sue scarpe, o quello che fumando sulla porta del treno, getta la sigaretta sul gradino stesso, o quello che mangia e sbriciola tutto, lasciando cartacce, pezzi di panini e lattine, non prendiamocela solo con trenitalia, prendiamocela anche con noi stessi.

mercoledì 10 ottobre 2007

Al di sopra di ogni sospetto.

Ricordo ancora quel giorno. Difficilmente assumo un aria di superficialità, quel giorno lo feci. Avete presente quando una persona snob “guarda” qualcuno ? bene, proprio questo è stato il mio atteggiamento. Essendo raro questo mio comportamento, mi rendo immediatamente conto di ciò che sto facendo, l'espressione che assumo, e automaticamente scatta un esame interiore. E’ uno stato d’animo che mi pervade quando "devo" difendermi, non so da chi o da che cosa, ma capita. Probabilmente, credo sia una forma di timidezza latente, ereditata dagli albori della mia vita, quando guardavo qualcuno, qualcuna, che a senso, non mi avrebbe mai parlato ne tanto meno considerato.

Questa è stata la prima impressione della persona di cui racconterò in seguito.

A caratteri generali, fortunatamente, le cose sono cambiate, decisamente in meglio, la superficialità infantile degli antagonisti spesso e volentieri ha lasciato posto alla razionalità e alla voglia di conoscenza, di conoscersi, di condividere, stati mentali, emozioni con qualcuno.

Qualche volta il demone ritorna.

In risposta alle facili lauree che ormai affliggono il sistema universitario italiano, sono stato costretto ad iscrivermi ad un master, più per riemergere dal substrato dei lupi colti (quinquennali, triennali,biennali e addirittura annuali), che per interesse.

L’ambiente del master, a tratti freddo e riservato, a tratti caldo e amichevole. Quando era accogliente, mi sembrava si basasse su enormi personaggi che paventavano una falsità di quelle rare. Tra i tanti, non posso non citare un buffissimo personaggio, pseudo militare, che si vantava di avere conseguito un numero imprecisato di “specializzazioni”, classica persona stancante che in tutte le classi è sempre presente, con la domanda sciocca o ovvia sempre pronta, che suscitava una ilarità generale, soffocata dal buon senso che ci accomunava. Qualche vamp esemplare vestita di tutto punto, talvolta con acconciature da cartone animato manga, sempre attenta, si accomodava sulla sedia davanti al docente. Immancabili la presenza di “Dottoresse” varie, snob, dalla facile parlantina durante le lezioni, e non ultimo le bionde ossigenate che “se la tiravano”, non posso esimermi di ricordare il giornalista polemico e petulante, sempre in rivolta con qualsiasi pensiero, uno di quei tipi che lo saluti più per non calpestargli i piedi, che per cortesia. Tutti questi personaggi, intervallati da qualcuno anonimo, di certo non aiutavano a rendere piacevole il venerdì pomeriggio e il sabato mattina.
A dir il vero io ed un altro collega, molte volte, “marinavamo” l’ambiente, a causa di impegni lavorativi non posticipabili.

Fu in una di queste lezioni la mia attenzione fu catturata da una persona “particolare”. In prima battuta, sembrava uguale, ma in quel momento, la noiosa lezione, mi fece osservare, con spirito meno critico e sicuramente meno predisposto, il “soggetto femminile”. Aveva un paio di pantaloni neri, una camicetta bianca, con sopra un maglioncino di cotone anch’esso nero, scarpe con tacco, un leggero velo di matita nera sui sopracigli, forse un pochino di terra rossa sulle guance, un rossetto rosso non troppo acceso. Era solamente l’anticipo di una serie di vestiti sobri da donna, mai volgare, mai fuori posto. Ebbi modo durante le brevi pause di tabacco e caffè, di incominciare a “studiare” in maniera meno superficiale, anche il suo carattere, o, almeno ciò che traspariva, dato che la spontaneità era davvero spensierata. Sembrava l’unica vera persona presente..
Sicuramente ebbi modo più di una volta di confermare l’idea positivista che mi ero fatto. Infatti i tratti che la rendevano differente dagli altri personaggi, più o meno presenti, era il comportamento simpatico e spontaneo, effervescente, brioso, sempre “condito” da un sorriso sano, a dir il vero talvolta alla “Sandra Bullock”.

Una pura agitazione, veicolata da una voglia innata di non “rimanere con le mani in mano”, un raro stile di intraprendenza, credo, siano i lati che più sottolineano la sua unicità. Malgrado anche le serie espressioni, ad esempio il momento della discussione dell’elaborato, avevano un non so che di particolare.

La non sempre puntualità nel frequentare le lezioni, permetteva, di osservare le sue movenze, il suo look, appena entrava dalla porta dell’aula. Riuscivo ad osservare pur rimanendo nell’ombra, essendo sempre seduto nelle ultime file.

Una domanda di informatica, e a complemento, un espressione del viso, con un velato maquillage, mi fu posta da lei, la mia disponibilità fu suffragata dallo scambio di e-mail. Con una promessa di aiuto, poi esaudita sul filo del rasoio.

Fortunatamente, non rimane un solo lontano, piacevole, ma non flebile ricordo

Questa estate, mentre sfruttavo i giorni della meritata vacanza, ho ricevuto una e-mail da parte sua, relativa ad una rappresentazione teatrale che è stata rimandata troppe volte, ne sono seguite almeno altre tre. Una suoneria silenziosa di un cellulare è stata tiranna, e non ci ha permesso di rivederci, ma sono convinto che un giorno di questi prenderemo un caffè insieme.

Saluti.

lunedì 1 ottobre 2007

"Una goccia nel mare per la Birmania"

Nota: questo è un nuovo tipo di protesta on-line che usa i blog per diffondere una petizione a livello globale. Per partecipare, aggiungi il tuo blog seguendo le istruzioni che troverai in questo post.Questa non è una questione di partiti politici, questo è un problema di diritti umani basilari e democrazia.Per piacere aiutate a prevenire una tragedia nella Birmania/Myanmar aggiungendo il vostro blog e chiedendo ad altri di fare lo stesso. Facendo circolare questo meme attraverso la blogosfera probabilmente potremmo portare più sensibilità sul problema ed evitare una seria tragedia. Come cittadini del mondo, questo è qualcosa che i blogger possono fare per aiutare.Come partecipare.
1. Copiare questo intero post nel tuo blog, compreso questo numero: 1081081081234;2. Dopo alcuni giorni puoi cercare su Google il numero 1081081081234 per trovare tutti i blog che partecipano a questa protesta e petizione.Nota: Google indicizza i blog a differenti livelli, per cui è possibile che ci voglia più tempo perché il tuo blog appaia tra i risultati. Indipendentemente dalla traduzione il numero rimane identico e perciò valido.
La situazione nella Birmania/Myanmar e perché ci riguarda tutti.Non c’è libertà di stampa nella Birmania/Myanmar e il governo ha incominciato a bloccare Internet e altri mezzi di comunicazione, per cui è difficile ottenere le notizie dall’esterno. Singole persone sul campo stanno mandando i loro comunicati alla BBC e sono sconcertanti.La situazione nella Birmania/Myanmar è sempre più pericolosa. Centinaia di migliaia di protestanti pacifici e disarmati, compresi monaci e monache, stanno rischiando le loro vite marciando per la democrazia contro una dittatura impopolare, ma ben armata che non si fermerà pur di continuare il suo dominio repressivo. Mentre i generali al potere e le loro famiglie sono letteralmente grondanti di oro e diamanti, la popolazione della Birmania/Myanmar è impoverita, privata dei diritti umani basilari, tagliata fuori dal resto del mondo e sempre più sotto la minaccia della violenza.Questa settimana la popolazione della Birmania/Myanmar si è sollevata collettivamente nella più grande dimostrazione pubblica contro la dittatura militare dominante da decenni. È una dimostrazione di coraggio, decoro e democrazia attiva sorprendente. Ma nonostante queste proteste siano pacifiche, i despoti militari stanno incominciando a reprimerle con la violenza.
Ci sono già state almeno alcune morti confermate, e centinaia di feriti gravi causati dagli scontri tra soldati e cittadini disarmati.In numero attuale di vittime e feriti è probabilmente di gran lunga peggiore, ma le uniche notizie che abbiamo vengono da singole persone che riescono a far passare i loro resoconti attraverso il cordone imposto dalle autorità. Sfortunatamente sembra che presto potrà esserci un bagno di sangue su larga scala, e le vittime saranno per lo più donne, bambini, gli anziani e i monaci e monache disarmate.Contrariamente a quello che i governi birmano, cinese e russo hanno affermato, questo non è solo un problema di politica interna, è un problema di importanza globale e colpisce la comunità globale. Come cittadini interessati non possiamo permettere che qualunque governo, in nessun luogo al mondo, usi la sua forza militare per attaccare e uccidere cittadini disarmati che stanno dimostrando pacificamente.In questi tempi moderni, la violenza contro civili disarmati non è accettabile e se è permesso che accada, senza serie conseguenze per i suoi perpetratori, questo crea un precedente perché succeda ancora da qualche altra parte. Se vogliamo un mondo pacifico, spetta ad ognuno di noi opporre resistenza personalmente contro questi problemi fondamentali, dovunque essi si presentino.
Per piacere unitevi a me nel chiedere al governo birmano di negoziare pacificamente con i suoi cittadini, e alla Cina di intervenire per prevenire ulteriore violenza.
E per piacere, aiutate a sollevare l’attenzione degli sviluppi della Birmania/Myanmar così che sia possibile evitare un disastro umano su larga scala.Grazie.

mercoledì 19 settembre 2007

Replica al post la nascita di mia Nipote

Questo, erroneamente inserito come commento, in realtà la considero una replica, o meglio un differente punto di vista, scritto, anch'esso di pugno, dalla mamma di mia nipote. Mia sorella. Riportato in maniera integrale, ovviamente.
Tante volte ho guardato con sguardi incuriositi le pance delle gestanti immaginando, un giorno, come potevo essere io con la pancia. Speravo di diventare mamma non appena mi sono sposata...avrei completato così quel cerchio della vita di chi come me ha sempre creduto nell'importanza della famiglia. Già...proprio quella famiglia che speravo di costruire con il mio partner ma che purtroppo non è stato possibile: niente figli e niente più marito. Nonostante i consigli ripetuti della mia famiglia di origine e quelli degli Amici con la "A" maiuscola ho scelto di credere all'amore ma si è rivelato, a breve, non essere tale. Non ha mai capito cosa passasse in mente e cosa volesse il mio ex marito, neanche quando mi chiese di fare un bambino nonostante il nostro matrimonio fosse in crisi (di li a poco ci saremmo lasciati definitivamente). Fortunatamente la mia voglia di coronare quel desiderio di maternità non ha prevaricato sul buon senso: un bambino non deve essere una colla per riparare un vaso rotto tante volte, ma che famiglia gli avrei dato? Oggi, nonostante mi porto una spada di damocle sulle spalle sono fiera di non aver sbagliato (almeno in questo)nel prendere la decisione di mettere al mondo un essere umano in quelle circostanze. Sono stati giorni duri, il mondo ti crolla addosso e tu ti lasci travolgere perchè sei ferita dentro, ma, la sensazione più brutta è il sentirsi soli in mezzo a tanta gente..praticamente la mia vita era un tunnel senza luce...Ma come ogni problema ha la propria soluzione anche i dolori non sempre vengono per nuocere!!Un giorno ho iniziato a frequentare una persona, dapprima una conoscenza poi un amicizia fino a quando è scattato qualcosa, un input che ormai avevo dimenticato era scattato in me. Forse le ferite di una storia passata erano profonde tanto che ero spaventata nel provare nuovamente certe sensazioni. Sentimenti inizialmente non liberi, bloccata, come ero, dalla paura di soffrire ancora una volta, troppo fragile per poter sopportare un'ulteriore delusione e troppo forte da lasciarmi andare completamente..Ma la vita, bella o brutta che sia, va vissuta con tutte le sue sfaccettature e io la dovevo vivere,è la mia unica vita! Un uomo completamete diverso da quello che avevo sposato, simile al mio modo di essere. E' nata la nostra storia ed è aumentata l'incoscienza: immaginavamo entrambe come sarebbe stato bello avere un bambino insieme. Poi, però, dai castelli in aria scendevamo con i piedi in terra ripetendoci che era troppo presto ma avvevamo deciso di lasciare al fato ...a settembre eravamo li nel bagno a fare il test di gravidanza. Giorni prima di fare il test mi sono sentita strana, sentivo che qualcosa dentro di me stava cambiando e mi sentivo che non era un semplice ritardo del ciclo. La mia sensazione è stata confermata dal test: ero incinta. Ricordo con chiarezza che non ero preoccupata forse lo era qualcun altro: il mio uomo, nonostante fosse proprio lui, ripetutamente, a dirmi che voleva un bambino. Davanti alla realtà dei fatti le cose sono molto più chiare e fanno, molto spesso, paura!Io invece mi sentivo spaventata ma al tempo stesso tranquilla perchè se nella mia vita avevo superato il fallimento del mio matrimonio, ormai non temevo nessuno e niente e se la storia con il mio nuovo partner fosse andata a finire male avrei avuto, in questa vicenda, qualcuno a cui riversare tutto il mio amore........... ....I nove mesi sono andati bene, certo, accettare un cambiamento così repentino del proprio corpo non è facile specie per chi non ha mai avuto un filo di pancia (12 chili mi ripeteva il ginecologo non sono tanti, si va bene ma su una persona magra vedi come si sentono e come pesano!!! poi non parliamo per trovare i vestiti, lasciamo stare!).Quanti libri letti e tante informazioni recepite per essere e dare il meglio come mamma(solo ora posso dire che tante cose servono ed altre no, l'esperienza è personale,unica e diversa). Non ho mai avuto paura di partorire tanto che pregavo di fare un parto naturale e non ho considerato mai l'idea dell'epidurale se non negli ultimi giorni prima della data presunta del parto, anche se tutti mi dicevano che l'evento era doloroso..un dolore che non so descrivere ma che non ti risparmia. Domenica verso la mezzanotte sono entrata in ospedale pensando che le contrazioni che avvertivo ogni 3 minuti fossero le famose doglie: ragazzi quelle erano passeggiate in confronto a quelle che sono arrivate pian piano verso le 4 di notte quando sola nell'ospedale vagavo intorno al letto facendo la danza del ventre, come mi avevano insegnato al corso pre parto per alleviare il dolore, quelle erano trapani,cannoni,non so. Danza che alleviava relativamente perchè il dolore era sempre più acuto tanto che la mattina del lunedì ho chiesto disperatamente il parto cesareo e l'epidurale, ma le mie parole suonavano invano al personale dell'ospedale. Ricordo ad un tratto di aver udito una voce, quella di mia madre che aveva sbagliato entrata (quella era solo per il personale ospedaliero) e chiedevo di farla entrare perchè ero sola, non avevo la forza neanche di comporre il numero del mio lui, non capivo più nulla ed ero stanca, visto che la notte non avevo chiuso occhio (sfido chi ci riesce!!!). Mia mamma nel vedermi lo ha subito avvisato. Lui, nel contempo, mi ha detto successivamente di non aver chiuso occhio al pensiero di avermi lasciata, non per sua volontà, da sola in quel letto con i dolori. Sorpreso anche lui nel vedermi così ha avuto un attimo di defaiance (non mi ricordo se si scrive così). A tutti i costi voleva starmi vicino nel momento fatidico ma non appena arrivato si è reso conto, nel vedermi, che ci stavamo avvicinando al momento x e l'ho visto sbiancare e grondare di sudore tanto che quando ha chiesto dove era il bagno all'ostetrica, con quel poco fiato che mi era rimasto, l'ho pregato di fare presto e di non lasciarmi da sola. Ha fatto appena in tempo a tornare (nel bagno aveva fatto un po' di training autogeno) che lei è nata, subito il suo vagito ha coperto il mio pianto di gioia. Me l'hanno adagiata immediatamente sulla pancia e poi attaccata al seno dove i miei occhi hanno potuto incrociare i suoi già belli spalancati, vogliosi di vedere un nuovo mondo e al tempo stesso spaventati dall'aver lasciato quel ventre caldo, il suo rifugio per 9 mesi, il luogo dove giorno per giorno si stava avverando il miracolo della vita. Ti chiederai Orsissimo 67 perchè ti ho raccontato la mia storia, bhè la bambina che è venuta al mondo è tua nipote...........

venerdì 14 settembre 2007

L'anima

Quando la vita ti regala inattesi silenzi, e fermandoti leggendo te stesso, i pensieri negativi ti pervadono, significa che non stai più bene, e la tua anima sta morendo.

giovedì 13 settembre 2007

I miei giocattoli

Questo post è il frutto di input differenti, il blog di "Stella" e una telefonata di un nipote, mi hanno spronato a scrivere in merito ai giochi che hanno accompagnato la mia infanzia.
Sarà disordinato nella cronologia, è scritto di pugno ed ora, è anche tardi, dopo una giornata faticosa. Forse lo sistemerò, forse no, chissà.

Scandagliando gli angoli più remoti della memoria, posso chiaramente ricordare il pallottoliere montato sul mio seggiolone, l’esatta sequenza di colori, mi è impossibile rammentarla, ma il numero delle bilie era cinque, che scorrevano su una asticella cromata con due supporti di plastica. Questo è stato sicuramente il mio primo giocattolo, da bambino senziente.
Qualche balocco sicuramente l’ho dimenticato, ma, ricevere giocattoli era alquanto sporadico e quindi hanno tutti generato felicità e qualche volta delusione, comunque sempre emozioni che lasciano uno strascico nella mente e talvolta nel cuore.

Voglio premettere che non ho mai avuto un pallone, sicuramente per scelta, non mi è mai importato giocare al calciatore. Mio padre tanto meno mi ha incitato. Soltanto una volta l’ho fatto, dopo una pessima performance da difensore (gli attaccanti erano i bambini più fichi), mi hanno sbattuto in porta. Un tiro solo in porta è bastato per avere come conseguenza, la rottura del polso destro. Frattura multipla scomposta. Due settimane in ospedale. Un mese con il gesso. Era l'nizio dell'estate. Il gesso rimosso tre giorni prima di andare a scuola. Se fosse stato durante l'anno scolastico, non mi sarei mai rotto un polso.
Il cattivo che tirò in porta non era un bambino, ma l’allenatore dei “Pulcini della Roma”. Ho raccontato, vantandomi, per quasi dieci anni che avevo giocato con questo allenatore “della Roma”, ed ero caduto sul campo respingendo comunque la palla sul bordo campo.

Il miei negozi di giocattoli, preferiti erano “Cimini” (vicino casa), e la “Galleria del '48”, storico negozio, non più esistente, (rimpiazzato da uno di abbigliamento), collocato all'angolo fra via De Pretis e Via nazionale (roma). Erano negozi chimera, il tempo di permanenza davanti alle vetrine durava forse uno o due secondi, mentre nei supermercati il tempo non finiva mai.

La "Galleria del '48", me lo ricordo come fosse oggi. Aveva dei giochi iperbellissimi, la pista delle macchine da corsa della Polistil, "occupa troppo spazio", la pistola che si illuminava,"ci giochi un pò e poi la lasci lì", le astronavi gigantesche che sparavano razzi, "i razzi vanno negli occhi".

Quando, raramente, si transitava lì davanti, la presa delle mani aumentava, e in proporzione, anche il passo. Forse era il negozio più costoso del mondo.

Vorrei spezzare una freccia nei confronti dei miei genitori, loro stavano costruendo casa, quella in campagna, il mutuo di quella di Roma era, per come ne parlavano, una spada di Damocle sulla loro, (e sulla mia), testa. I soldi servivano per comprare le tende per simulare una porta del bagno, un lucchetto per la porta di casa in legno da cantiere, le soglie in marmo per le scale.

Da nonna mai ricevuti regali in giocattoli, era al passo con i tempi, guidava la macchina e da impiegata statale era a reddito basso ma certo. Nonna mi regalava maglioni con addirittura l’etichetta dietro il collo con la scritta “fatto a mano da Nonna”.

Questi maglioni assolvevano il loro compito egregiamente, tenendomi caldo, anche dentro casa, funzionali, ma i colori, la grandezza della maglia, e non ultimo, la fattura artigianale, hanno suscitato ilarità in tutto il pubblico femminile e maschile delle scuole per circa tredici anni, e di certo non mi hanno aiutato. Allora andavano di moda le polo della “Sergio Tacchini” e i piumini della "Ciesse". Mai avuti. Da ciò si deduce che ce n’è voluta prima che avessi una ragazza al mio fianco.

Ho vissuto la mia infanzia, come i pari della mia età con giocattoli avulsi dall’elettronica di oggi, qualcuno è tutt'ora è un evergreen, tornando ciclicamente nei negozi, quelli di oggi sono veramente belli.
Papà mi regalò una macchina a pedali rossa assomigliava vagamente ad una Porsche cabrio, ci scorrazzavo per casa contentissimo. Forse perché ingombrava a casa, forse perché mia nonna si lamentava dei rumori, (abitava di sotto a noi), mi convinsero a regalarla ai “Bambini Poveri”, la regalai, con le lacrime agli occhi e malvolentieri.

Più di una volta ho invidiato i giocattoli dei compagni di scuola, le quali cartelle erano piene zeppe di macchinine, soldatini e carri armati e quant’altro. Purtroppo non sono nemmeno mai stato malandrino e scaltro, quindi mai appropriato di giochetti altrui. D’altrocanto un vantaggio rispetto ai ricchi ce lo avevo, innegabilmente, fare il check (prima di andar via), o tenere sotto controllo quelli miei per evitare che me li rubassero era cosa facile, ne avevo pochissimi. Quando qualche benevolo e generoso amico mi prestava i suoi, quell’attimo era più gratificante il possesso momentaneo che il giocattolo stesso.

Le macchinine, soprattutto quelle della Polizia erano le più ambite, mio zio più grande di me di circa undici mesi, ne aveva un fustino di detersivo stracolmo. Ricordate i contenitori cilindrici del Dash alti circa una cinquantina di centimetri ? Beh proprio quello. Immaginate quante ne aveva. Io una sola, era una Giulia 1600 TI Verdino scuro con la scritta 113 bianca e lo stemma di un commutatore telefonico, (quelli a cerchio con la cornetta sopra), sui lati. I sportelli apribili saltarono via subito, in seguito anche le luci posteriori, anche perché era una macchina della Polizia potentissima, saltava dappertutto, correva, volava, vinceva anche contro i carri armati, (loro erano di plastica e lei di ferro), e poi era l’unica, quindi unica.

I miei cugini materni, l’ala “ricca” della famiglia erano quelli che, (secondo mio padre), mi viziavano, regalandomi i carri armati di latta, quelli senza motori, (non c’erano i motori cinesi micronizzati), ma si muovevano grazie alla molla interna che si caricava con una chiavetta, la quale immancabilmente si perdeva. Ogni volta che andavo da loro, mi regalavano una giornata al Luna Park dell’EUR e Zio mi comprava lo zucchero filato (anche ora ne mangio tanto appena ne ho occasione).
Un'altra cosa che ho invidiato erano i soldatini piccolissimi dell'Airfix, io avevo quelli delle buste dove, maldestramente, erano mischiati cowboy, indiani, eserciti e carri armati. Mi sono sempre e comunque accontentato.

La fantasia, è fertile in ogni bambino, se poi stimolata per “esigenze” collaterali, mi ha portato ad “inventare” i giocattoli. I fucili ad elastico con la molletta dei panni, o un metro da muratore in legno erano le armi letali per le mosche il primo e per i spettri o soldati immaginari nemici il secondo. L’invenzione più bella, ancora presente in casa oggi, scaturì da un regalo inaspettato fatto da un’altra zia (sempre dell’ala ricca). Il regalo consisteva in un gioco di società tipo gioco dell’oca con un tabellone, dadi, carte fortuna/sfortuna e importantissimo dei volanti di cartone disegnati a mo’ di cruscotto con delle lancette di plastica che segnavano velocità giri e livello benzina. Si muovevano rigorosamente con le dita, ma erano ASPORTABILI. La chiave di tutto fu proprio questo. Visto che non era, diciamo un gioco di quelli ambitissimi e per giocare bisognava essere almeno in due, smontai accuratamente le lancette. Presi un quaderno a quadretti, disegnai dei “cruscotti di astronavi”, ci misi le lancette ed ecco qui una console di astronave bella e pronta, non ultimo la cloche di carta scorreva su due fessure incise consumando la carta con una penna, sui fogli di carta spillati insieme per dare spessore e resistenza alla struttura. Era la mia astronave portatile. La maestra delle elementari vedendo questo quaderno, lo portò dal preside, il quale si congratulò con me e lo fece vedere alle altre sezioni.

Ero il genietto della scuola.

Da qui coltivai la passione per le astronavi e per lo spazio, che sfociò dopo un regalo di un telescopio, nell’ancora attuale passione per l’astronomia.
La bicicletta modello "Graziella", quelle che si ripiegavano su se stesse per agevolare il trasporto, l'ho avuta a dieci anni, la marca era "Rally" e i primi posti nelle gare erano sempre miei, fino all'arrivo di Lorenzo, figlio di un politico riccone, che ne sfogiò una da corsa, con le ruote grandi quanto il mio ciclo. Era dura, ma una volta lo vinsi comunque. Stetti male di broncopolmonite sia per lo sforzo che per la sudata abbondante.

I trenini elettrici, ancora presenti in qualche scatolone in cantina, sono il mio tesoro, li conservo gelosamente. E’ un tesoro che si è incrementato negli anni, ogni natale ricevevo due o più vagoni e non spesso i locomotori e locomotive. Ogni tanto appena trovo occasione, me ne compro qualcuno.

Il monopoli, il master mind hanno accompagnato le sfide con i miei amici, non ultimo gli scacchi e la dama.

I giocattoli passando il tempo diventarono più evoluti e dopo un regalo di una Porsche della Burrago di ferro, con le ruote sterzanti e sia il vano motore che il portabagagli apribili, regalata all’età di otto anni, mi regalarono una autopompa dei vigili del fuoco filocomandata. Le pile duravano troppo poco ehm diciamo che non ce ne erano molte in casa.

I due unici giocattoli tecnologici, arrivati in tarda età furono l’UFO radiocomandato che alzava e abbassava le ali di plastica illuminandosi e il Genius il gioco che “sparava” sequenze irregolari di quattro colori che bisognava ripetere senza sbagliare, pena, ricominciare daccapo.

E’ pure vero che mi accontentavo di poco, un freesbie era il gioco da spiaggia, ma i più ricchi avevano il Going, quel gioco composto da un pallone simile a quello di rugby attraversato da due corde che terminavano alle estremità con delle maniglie. Tali maniglie dovevano essere “divaricate” per lanciare la palla contro l’avversario.

L’UFO l’ho regalato ad un collega di ufficio nel 1989. Il Genius capitolò in breve per il solito problema delle pile, scoppiarono e l’acido corrose tutto il circuito elettronico.

Lo spectrum Z80 fu il primo vero gioco tecnologico che ebbi, era un computer. Da lì un’escalation comprati con i miei soldi, facevo programmi. Non ho più giocato con i “giochi” ma solo con computer che ora mi danno da vivere.
Tirando le somme, e inventariando tutti i giochi, che ho avuto, in realtà non è che ne ho avuti pochi, nemmeno molti.
Ora abbiamo più di una casa, quella in campagna è bellissima, gli amici miei ricchi ne hanno altrettante, ma non belle come le nostre. I miei mi hanno appena aiutato per la casa che ho, il mutuo lo pago lo stesso, fa bene alla vita, così dicono.

Più di una volta ho avuto la sensazione che quello che avevo non era mai il top, è per questo che oggi, ringraziando il cielo e i miei, che aspetto sempre di avere più liquidità per comprarmi l'apparato elettronico migliore, in modo da evincere, dalla brochure informativa, che la massima configurazione è quella che ho.
Tutti i giocattoli che avrei voluto avere li ho comprati e regalati ad un mio nipote, ora grande, che mi vuole un bene dell'anima, tanto bene che qualche volta mi ha chiesto, da piccolo, di essere il suo papà. Non si tratta di aver comprato il suo bene, si tratta di averlo fatto sentire, nella giusta misura, importante per qualcuno.
Questo forse è stato uno dei campanelli che mi ha fatto capire che non ero più bambino, visto che mi gratificavo più a regalare che a ricevere.

La mia Porsche giocattolo l’ho regalata a un mio nipote di cinque anni, senza vernice, si vede il metallo. Non c’e’ volta che lo sento che vuole sapere la storia della Porsche e a che età ci giocavo. La custodisce gelosamente. Ma non si capacita, secondo me, come un giocattolo abbia resistito 32 anni.
Quella vera, e non a pedali, è giù in garage.

venerdì 7 settembre 2007

La 500

Questa estate mentre scorrazzavo sulla litoranea di una bellissima regione italiana, lo sguardo si è postato su un autoveicolo strano, che ricordava vagamente una Fiat 500. Mi sono fermato, l'ho osservata con attenzione.
Fichissima, costa molto, è riservata ad una fascia medio alta. Credo la compreranno comunque in molti, sopratutto i nostalgici.

Di cinquecento in famiglia ne abbiamo avute tre. Tutte gloriose. La prima, che non ho mai visto, se non in foto, ha fatto per circa tre anni, una volta al mese, un viaggio di andata e ritorno da Cosenza a Massa Carrara. Infatti mia mamma lavorava a Massa, mio padre a Cosenza. A quei tempi, non esisteva la Salerno Reggio Calabria e nemmeno la Roma Napoli quindi il viaggio durava anche due giorni.

La fedele 500 morì di vecchiaia e fu sostituita da una fiat 127 celestina (ricordo anche la targa), 900 di cilindrata che faceva 140 Kmh.

Ma nel cuore rimase la piccolina della Fiat.

Appena le finanze familiari permisero l'acquisto della seconda auto, sia per ragioni economiche sia per la nostalgia, fu acquistata la cinquecento bianca. Questa me la ricordo. Sedili in finta pelle rossa, il clacson di plastica con la scritta Fiat color cromo su sfondo rosso e il volante gigantesco nero con uno spacchetto al centro per compensare l'espansione termica della plastica, (o forse era solo rotto), il tettucco nero apribile e sopratutto il deflettore laterale triangolare che aveva una chiavetta per aprirlo e chiuderlo. In quel periodo, l'auto utilitaria, più ambita, era la Mini Minor.

Con la 500 mia mamma andava avanti e indietro con l'ufficio, (fu trasferita a Roma), e mi accompagnava all'asilo che per motivi logistici era molto vicino alla sua sede di lavoro.
Non ricordo che fine fece questa 500 bianca, ma quella blù che succedette, era fantastica. Versione De Luxe, aveva i paraurti cromati con delle rifiniture bellissime. Le maniglie apriporta erano anch'esse cromate l'interno nero, che si scaldava molto sotto il sole. All'interno, per quanto mi ricordo non era variato molto, sia il clacson, (gioia e delizia di ogni bambino), che il volante erano uguali. La caratteristica che mi è sempre piaciuta di questa utilitaria, era il sistema di accensione, mettevi la chiave, la giravi e poi tiravi una delle due levette dietro il cambio. L'altra era l'aria motore.

Mamma guidava, (e guida), come una pazza. Ricordo su lungotevere, davanti al tempio di vesta, nelle vicinanze dell'anagrafe, si ruppe il clacson, ed io, ometto della famiglia, (nel frattempo era nata mia sorella), mi diedi da fare aprendo il tettuccio e gridando Piiiii Piiii per simulare un suono riconducibile al segnalatore acustico stesso.

Mia madre mi sorrise più di una volta.

Ora la 500 è tornata tra noi è bella ma non uguale, lettore mp3 e climatizzatore la rendono più accattivante per le nuove generazioni, più al passo con i tempi, più sicura, più comoda, ma non è la stessa.

Una vecchia 500 è parcheggiata sempre sotto casa, tirata a lucido, è dei miei vicini. Semmai un giorno se la daranno via, la regalerò a mamma.

Piiiiii Piiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

L'attimo Fatale

Molte volte, sulle cronache nere, si legge di pazzi che lanciano oggetti da cavalcavia o dai bordi della strada su automobili di viaggiatori ignari. Molte volte leggendo, ho fatto aspre considerazioni in merito. Molte volte ho letto solo il titolo della notizia senza mai approfondire. Molte volte ho pensato "tanto a me non succederà mai."
Mi sbagliavo.
Al km 101 in direzione Napoli, sulla Napoli - Canosa, autostrada che attraversa Puglia e Campania, mentre ascoltavo un bellissimo pezzo di musica New Age, in corsia di sorpasso, con un andamento che sfiorava gli 80 Km orari alle 14,17 un oggetto metallico è "piovuto" sulla mia macchina.
La prontezza di riflessi, quasi innaturale, mi ha fatto evitare il peggio. L'oggetto metallico, (almeno cosi hanno affermato i ragazzi della Polstrada), fortunatamente e grazie al repentino spostamento verso sinistra dell'automobile, ha colpito il montante sinistro del mezzo, piegandolo senza però intaccare il vetro. A nulla sono valse le segnalazioni luminose all'auto che immediatamente mi precedeva, gli occupanti di una Fiat Bravo Blu a sua volta preceduta da un automezzo pesante Mercedes, sono scappati via. Conscio di fatti di cronaca, che delinquenti ti fanno fermare per poi rapinarti, mi sono cautelato fermandomi in un area di servizio dove ho atteso l'arrivo di una volante della Polstrada. Denunciato il fatto, fatta la prova dell'etilometro, (come da disposizione ministeriale), sono ripartito.
Se l'oggetto avesse colpito il vetro, in base all'intensità del danno provocato su una delle parti più dure dell'automobile, ovvero il montante sinistro, l'oggetto sarebbe entrato come un coltello caldo nel burro e probabilmente non sarei qui a scrivere cio'.
Una particolarità, una credenza rumena, afferma che il gatto nero se muore, lo fa per salvare il suo padrone, bilanciando un danno ben maggiore. Strana credenza, davvero molto strana.

lunedì 27 agosto 2007

La nascita di mia nipote

Questo è un post che avrei dovuto scrivere almeno un mese fa.


Sono diventato zio.

L’estate nella mia famiglia, è arrivata con questa bella notizia, attesa vero da nove mesi, ma con qualche giorno di anticipo rispetto alla data prevista. Questa anticipazione, aggiunge sorpresa all’evento, il più delle volte ormai sminuita dalle ecografie e monitoraggi che “azzeccano” con minuta precisione il momento del lieto evento. Ecco qua, con tutte le conoscenze che abbiamo, madre natura ci smentisce, ci sa ancora meravigliare.
Per fortuna, davvero per fortuna.
La bambina, appena nata, non era proprio bellissima, il messaggio multimediale con foto allegate, inviate ad intervalli regolari, per rendermi piacevolmente partecipe, sottolineava che il parto non è proprio una gioia dal punto di vista dello stress fisico. Stress che mia sorella ha subito, in solido con il bebè avendo fatto un parto naturale senza sedativi e rilassanti.

Certo un paragone per me non è facile, non ho avuto molte esperienze di nascite, non ultimo il mio rispetto della privacy della giovane coppia, soprattutto nei primi momenti, (giorni), non mi hanno portato quasi mai, tranne una volta, a vedere un bambino nato da poche ore.
Si anche se può sembrare assurdo, non mi piace andare a visitare immediatamente “la mamma” in ospedale, per numerosi motivi.
Innanzitutto, aborro l’affluenza in massa, quasi ad assalire la mamma per vedere poi il bambino attraverso un vetro. Mi voglio risparmiare tutte le ricerche delle somiglianze, le vocine vezzeggiative al massimo, che assomigliano più a farsetti che a voci di esseri umani. Voglio risparmiare agli occupanti dei letti vicini, la transumanza di parenti vari che sommandosi, rende impossibile il respiro nelle stanze degli ospedali. I cellulari che senza rispetto altrui squillano e disturbano tutti, compresi i presenti, figuriamoci i degenti. Partendo dall’inciso che anche il papà può entrare solo negli orari di visita, desidero lasciare i momenti di privacy e di intimità all’allargata famiglia, che necessitano di assimilare, di organizzarsi, di parlarsi in merito al nuovo componente aggiunto.
Non ultimo odio gli ospedali, che siano reparti di geriatria, pediatria o quant’altro.

Per vedere la nuova entrata, c’e’ tempo.

Per questa serie di motivi, mi sono presentato dopo una settimana dalla nascita, nella loro casa, quando la coppia ha avuto il tempo per assimilare il nuovo evento.
La mamma è mamma già appena sa di avere in grembo il feto. Cambia aspetto, i lineamenti si fanno più dolci, le modificazioni chimiche che avvengono nell’organismo comportano variazioni di umore, si modifica anche il carattere, si cambia, chi in meglio, chi in peggio. Mia sorella è migliorata, meno nervosa, più mamma.
Appena sono entrato ho visto il cucciolo di umano nella culla. Intimidito dalla presenza e non ultimo la paura di invadere troppo la sfera privata del rapporto genitori figli, non gli ho chiesto di prenderla in braccio. Quasi a sorpresa, con una naturalezza inaspettata, mia sorella prontamente e sopratutto con destrezza ha preso sua figlia e, delicatamente me l’ha posta in braccio.
Aveva gli occhi socchiusi, i movimenti minimi ma frequenti la differenziavano da una bamboletta giocattolo. I suoni incomprensibili, ma chiari segnali di vita, hanno riempito in quel momento il mio cuore, non di zio, ma di essere umano. In quel momento, l’odio per chi abbandona simili esseri, è aumentato a dismisura. Non era bellissima di aspetto, ma bellissima per ciò che in quel momento stava rappresentando per me e per la mia famiglia. Subito mi sono fatto scattare una foto con il telefonino per immortalare il momento.
Dopo poco è arrivato l’orario della poppata. Con un esperienza innata che le donne hanno, mia sorella l’ha adagiata sulle sue gambe e inclinando il piccolo corpo, l’ha avvicinata al suo seno e come se vedesse, capisse, la bambina si è avvicinata e ha incominciato a bere. Questa scena la ricorderò per tutta la vita, in quel momento credo sia la massima espressione di un rapporto mamma e figlia. Lei che ha bisogno della mamma per vivere, la mamma che ha bisogno di lei per sentirsi realizzata come donna.
Si realizzata come donna. Malgrado sia di sesso maschile, credo di poter capire, almeno in parte, che ogni donna ha come maggiore desiderio quello di diventare mamma. Quelle che non lo hanno, non sanno semplicemente di averlo.
Non sono abituato ad esternare le emozioni per il puro vezzo di esibire piacere o dispiacere, ma malgrado non lo abbia dato a vedere più di tanto, la giornata per me è stata emozionantissima.
Altri appuntamenti con la bambina si sono succeduti, in particolare quello della prima nella mia abitazione.
Appena citofonato, sono corso nel cortile, e di nuovo, meravigliandomi, il compagno di mia sorella, mi “consegnato” senza colpo ferire la culla con la bambina, affidandomela per salire le scale. Questi gesti li apprezzo in maniera particolare, significa che si fidano, che vogliono che sia subito instaurato un rapporto con la bambina. Questa sicurezza nell’affidare la bambina credo sia anche per il fatto di farmi sentire più partecipe alla loro gioia, gioia che io ancora non posso condividere nella mia famiglia.

Adagiata sul divano, con la sua culla, mia nipote ha iniziato a guardarmi. Credo sia stata attratta da me perché le mie parole non sono “zuccherine” come fanno tutti con i bebè, sono dell’idea infatti, che i bambini fin da piccoli debbano essere abituati ad ascoltare il suono delle parole vere e non storpiate con vezzeggiativi e farsetti.
Oppure è il legame di sangue che si fa sentire, geneticamente mi riconosce, chissà...
Come d’incanto si è messa a sorridere, strizzando gli occhi e muovendosi più coordinatamente rispetto alla prima volta. Il respiro più lento, il movimento delle piccole gambe, teso a distenderle, hanno attratto la mia attenzione, non ultimo al suo aspetto fisico decisamente migliorato, rilassato e ormai veramente bello.
Un rosa pallido, uniforme, unito alle movenze del viso, all’aspetto non troppo paffutello, l’hanno fatta apparire ai miei occhi come una delle nipoti più belle del mondo. Non è di circostanza, ma è veramente bella. I caratteri somatici che via via con il tempo si fanno più marcati, delineano espressioni del padre e sempre immediatamente della mamma, creando un azzeccato misto di lineamenti che la rendono unica, come un dipinto in una tela dove nessun colore o tratto, stona.
Queste emozioni non sono lacrime nella pioggia, non si disperdono, irradiano l’animo e lo rendono migliore.
Ciao nipotina, al prossimo post tutto per te.

Il mistero della nascita

[vicenda vissuta... trafila policlinico etc. inseminazione etc.]

sabato 11 agosto 2007

Oplonti...


Il sole e la luna splendevano nei suoi occhi. Ma anche il fuoco della gioventù. Raccolto piccolissimo, subito fu il benvenuto. E’ arrivato a casa che aveva tre mesi, non ebbe paura quando uscì dallo scatolone. Lo volevo nero, era importante, arrivò per caso di notte, doveva essere un’adozione temporanea, ma senza dubbio, entrò subito nella famiglia. Solo l’altro, che abbiamo, non lo guardava di buon occhio, e sicuramente disse “ecco i giovani d’oggi”. Ci seppe ricompensare subito. Il suo arrivo in un momento particolare della vita, fu un ottimo palliativo, sopratutto per il mio stato d’animo. La sua vicinanza, la sua intraprendente presenza, il suo calore, il suo farsi sentire, i suoi primi passi verso la libertà non era solo compagnia, ma affetto. Riempiva le mie giornate, alternava al gioco il sonno, ma sempre pronto a farti fare un sorriso, a dargli una carezza. Mai schivo, indiavolato talvolta, saltava dappertutto riuscendo ad evitare oggetti fragili, che poi comunque rompeva. Infallibile portiere, rilanciava la palla sempre nella mia direzione. Buste, valige,zaini e scatole… sua dimora preferita, incuriosito da un rubinetto aperto, dalla centrifuga di una lavatrice, da una scala a pioli per salire su uno scaffale. I posti preferiti, di suo dominio, li cedeva solo in cambio di un gioco. Guardava farfalle notturne volteggiare per aria, con occhi vispi e attenti. Lo chiamavi, ti raggiungeva, lo cacciavi, si sdraiava, lo sgridavi, si offendeva. Dormivi, dormiva con te. Amante dell’aria climatizzata, del video “Sixty Tons”, della palla rossa, ma non di quella gialla. Stimatore assoluto della tastiera del computer, il ticchettio dei tasti dolce e inspiegabile musica per le sue orecchie. Il puntatore del mouse, un piccola mosca da catturare…
Il carattere opportunista, caratteristica peculiare dei gatti, con lui è stata largamente smentita, non stava con noi per il mangiare e le cure, stava con noi perchè ci voleva bene.

Sette mesi con lui, sono bastati per lasciare un segno indelebile nel mio cuore. L’ho accompagnato io a fare i primi passi verso la libertà. Titubante e guardingo, si affacciava dalla scalinata e ogni giorno vinceva la paura del prossimo scalino. Fino ad arrivare in strada, fino a zampettare sotto i box o sul giardino.

La sera sul tetto guardava dall’alto chissà che, le sue fusa si udivano anche per telefono e te le faceva appena sentiva la mia voce.

Questo era il mio gatto, e ieri sera me lo hanno ucciso, qualche avventato corridore di auto, lo ha centrato. E’ morto da solo, senza una mia o altrui carezza, forse sul colpo. Ieri l’ho salutato come al solito, era vicino a me nel box mentre prendevo lo scooter, al solito gli ho dato da mangiare e da bere. Era un appuntamento ormai fisso, e il mangiare era una tattica per poter chiudere il garage più in fretta.

Oggi, anzi poco fa, l’ho seppellito, ho pianto, davvero, come un bambino, come un adulto. Era da tanto che non lo facevo. Lui le mie lacrime se le è meritate.
Non ero solo affezionato a lui, gli volevo bene. Stamattina l’ho seppellito sorridendogli, non credo sia andato in un posto migliore, probabilmente se non gli avessi voluto bene come gli ho voluto, a quest’ora sarebbe vivo. Si, se lo avessi relegato, a gatto casalingo, senza mai uscire, ora sarebbe vivo, sarebbe egoisticamente ancora con me, ma non avrebbe assaporato la possibilità di andare …
Con i "se..." e con i "ma...", non va avanti il mondo.

Chissà se il responsabile di ciò, conosce questo dolore, chissà se un giorno lo conoscerà. Solo una cosa vorrei dirgli, mi hai dato, ci hai dato una coltellata in petto, e non te l’auguro. Il mio stato d'animo, umore, sensazione, è che è venuto a mancarmi un parente stretto.

Sembra esagerato… no, credetemi, l’amore e il bene che si possono dare ad un animale, può essere uguale o diverso a seconda dei casi, ma non meno intenso a quello dato ad un essere umano, talvolta di più, nessun animale ha, e fa cattiveria, per il puro gusto di farla.

Ciao Oplonti, ciao gatto mio, ciao amico mio, può darsi che ci rivedremo.

(20 dicembre 2006 - 10 agosto 2007)

mercoledì 18 luglio 2007

Rugiada

Come la rugiada che risveglia i fiori,
senza luce ne rilevo le forme.

(anonimo su una cartolina)

L'incontro - Parte 1

Il tramonto si stava affacciando sulla baia, il panfilo ormeggiato alla mia destra era osservato da più di un passante, maestoso e bello rendeva più accattivante il posto. Sembrava una serata come tante, ma così non fu. Nella piazzetta, centrale denominata Piazza delle Cinque Terre, gestita interamente nei suoi servizi da tale Enea Lobo, si respirava aria di mare. Le panchine poste tatticamente, sul lungo mare erano distanziate l’une dalle altre di qualche metro. La pavimentazione, di un rosso di Siena spento, terminava con una ringhiera in ferro battuto, per proteggere i passanti da eventuali cadute in un mare poco profondo e sempre calmo. Il rumore dei flutti, alquanto reale faceva compagnia a tutti noi, i colori del cielo, pulito e perfetto, si fondevano gli uni con gli altri. Un annuncio insolente e cadenzato, destava ogni tanto l’attenzione di qualche passante. Raccomandava di non usare armi, di non fare chiasso e di non disturbare, giustamente, gli altri.
Alle mie spalle uno stand della Mondadori con il suo banner pubblicitario senza fine, ricordava le pubblicazioni informatiche della casa editrice.
Le Cinque Terre era un luogo particolare, permetteva facili guadagni, solo standosene seduti a guardare il mare o la pubblicità elettronica dei vari stands. I passanti, velocissimi, ed alcuni con atteggiamento furtivo, si avvicendavano, correvano per accaparrarsi il posto, appena liberato, su una di queste sei panchine. L’ambiente bello, curato, era ed è tutt’ora rovinato dall’interesse economico, gente seduta, di molte nazionalità sembrava assorta in altre faccende, e praticamente non aveva attitudine al dialogo.
E’ in questi posti, sopratutto quando seduti, che ognuno di noi si guarda in tasca, verifica il proprio inventario e incomincia, prosegue o termina, la sistemazione degli oggetti raccolti in giro per le lande che ha precedentemente visitato.
Mentre procedevo nella ‘manutenzione’ del mio inventario, ascoltavo i pochi dialoghi della gente vicina. La lingua preminente alle Cinque Terre è l’italiano, ma spesso gruppi parlanti Francese, Tedesco, Inglese nella maggior parte, vengono a fare visita e magari trovare un posto a sedere per poter guadagnare qualcosa.
Maschi ben vestiti, curati e dal fisico perfetto, si sposano con l’ambiente, ma non tutti, si possono trovare anche persone con aspetto obeso e mal vestita. Quasi mai, si vedono femminucce non curate. Anzi, i colori sgargianti, le minigonne da urlo, perizomi, giarrettiere e acconciature splendenti sono la normalità.
E’ facile però scambiare escort per gente comune o gente comune da escort.
Appena conosco qualcuno o qualcuna, compilo immediatamente una scheda, per catalogarli, potrebbe infatti essere utile quando si rincontra. E’ una feature che uso spesso, infatti la sensazione che dai all’interlocutore, quando ci riparli, è particolare. Lo fai sentire quasi unico per te. Questo fa molto piacere alle donne.
Ovviamente essendo maschietto, l’attenzione verte sulle donne. Quando passano, cerchi rapidamente di capire, in base al nome e al cognome, che le identifica univocamente, di che nazionalità sono e soprattutto se parlano una delle mie lingue conosciute, italiano, inglese, francese, un attimo di tedesco e spagnolo.
Quella sera, un membro della famiglia Choice, si aggirava baldanzosa e senza meta nello slargo tra le panchine e lo stand della Mondatori. Le scarpe con i tacchi a spillo, le gambe slanciate, i capelli biondi, lunghi, raccolti all’altezza delle tempie da due fili, (sempre di capelli), che orizzontalmente partivano dalla frangia davanti per terminare ad una cipolla dietro, occhi da urlo, carnagione chiara, vestito scuro, con maglietta senza eccessivo decolté ma gonna che meritatamente faceva cadere l’attenzione sulle gambe.
Inutile negare, l’attrazione fisica, per tutti, maschi e femmine, è la prima clausola per poter iniziare un dialogo senza essere presentati.
Osai comunque. Il suo nome era Perla.
Rapidamente guardai il suo decolté, i suoi orecchi, le sue dita, e non trovai nessun oggetto ornamentale, collana, orecchino, anello, braccialetto fatto del materiale del suo nome. Ovvero di perle. Cercai nell’inventario in maniera rapida ed efficiente, correttamente suddiviso in aree tematiche, trovai degli orecchini. Non conosco la natura di quest’oggetto se di fiume o di mare, fatto sta che gli dissi “una ragazza con un nome così, non può non avere due orecchini di perle !”. Lei sorrise e accettò il mio regalo, fatto con il cuore. Senza dargli possibilità di replicare, gli regalai anche una rosa rossa, inappropriata per il linguaggio dei fiori, ma era l’unico fiore che avevo a disposizione. Incominciammo a parlare, malgrado, un altro personaggio, non era troppo contento della mia intrusione.
Incominciai a fare delle domande classiche da quelle parti, nel frattempo prendevo appunti per riempire la sua scheda. Dopotutto la mia presenza da queste parti è di fare la maggior parte di Public Relation per l’attività che dovremo aprire a breve, nelle immediate vicinanze delle Cinque Terre.
Infatti, nelle inaugurazioni, più persone ci sono e più ovviamente, si ha la possibilità di farsi conoscere con il passaparola.
Gli chiesi di includerla nella lista delle amicizie. Accettò cordialmente. Dopo un rapido saluto, con un arrivederci, ci congedammo entrambi. Iniziò uno scambio di messaggi e di saluti, non ultimo, da parte mia di cedere il posto di una delle tante panchine. Iniziammo un dialogo formale, scherzoso. Ci studiavamo. (segue)

La pesca Galeotta Parte 5

Il loro biglietto con data 11 si riferiva alla partenza da Kerkira e non da Patrasso. Ovvero la nave che stavano perdendo era quella che avrebbe dovuto portarle in Italia il giorno dopo. Infatti le tappe della nave erano le stesse dell’andata, solo al contrario: Patrasso, Igoumenitsa, Kerkira. Informatesi immediatamente se il giorno dopo ci fosse una nave, il comandante della nostra ci disse che l’unica che le avrebbe potute portare in Italia era una della Hellenic. Anna aveva paura della compagnia Hellenic, anche perchè un mese prima una era andata a fuoco. Si fidava solo di compagnie Italiane. Saltarono in macchina come delle gazzelle, per tornare all’Hotel, prendere le valige, la Lina e l’Annamaria e tornare per imbarcarsi con noi.
Nel frattempo, costernati e agitati, pregammo letteralmente comandante e hostess di ritardare la partenza, per dar modo a loro di imbarcarsi. Il comandante, gentilissimo e degno di rispetto, ci concesse 15 minuti ritardando quindi la partenza di altrettanti minuti.
Il traffico di Patrasso fu tiranno. Non fecero in tempo. Il comandante affranto, non poté che far chiudere il ponte di imbarco auto e far mollare gli ormeggi.
Mentre la nave si allontanava orizzontalmente dal porto, vedemmo la Fiesta rossa arrivare. Lina scese e correndo incominciò a gridare a squarciagola: ‘Guidooooo non mi lasciareeeeee’. La mia risposta a questa sua inaspettata reazione, fu quella, incoscientemente, di scavalcare la ringhiera per tuffarmi in acqua e raggiungerla, per fortuna Marco mi placcò dicendomi ‘arrovai ! statte accà, statte quieto, cercamm de nun fa strunzate’. Marco non parla mai in partenopeo se non quando deve dire una cosa serissima o spiritosissima. Le luci del porto si allontanavano inesorabilmente e il grido di Lina ripetutosi per almeno 50 volte, ormai giungeva ovattato. Non seppi mai se lo faceva perché il 12 doveva andare a lavorare in Lombardia, e quindi sperava in un mio miracolo, o perché effettivamente qualcosa di tenero era scattato nel suo cuore. Alla mia reazione, del quasi tuffo, Nello capì che io, Guido, era innamorato di un’altra donna e non più di sua sorella. Non proferì più parola per tutto il viaggio.
Ci fumammo una sigaretta tutti insieme, discutemmo un po’ sulla vacanza e io ancora più affranto, me ne andai a dormire.
Le salentine non erano stupide, io lo sapevo, dentro di me dissi, ‘La prossima tappa è Igoumenitsa, se trovano un traghetto che le porta dalla parte opposto del Peloponneso, attraversano il mare e incominciano a viaggiare di buona andatura, domani alle 7, si imbarcano su questa nave!’.
Mi sistemai nella cabina, mantenemmo le ‘configurazioni’ del viaggio di andata, gettai uno sguardo al lavandino nella stanza. Il viaggio sarebbe stato tranquillo dal punto di vista climatico, più tumultuoso dell’andata come stato d’animo, ma, malgrado ciò, mi misi a cercare l’hostess.
La trovai facilmente, il suo turno sarebbe terminato all’una di notte.
Parlammo tutti insieme della vacanza, tristi perché in vacanza si sta sempre bene ed è sempre corta. Gli impegni lavorativi, certamente non pesanti, non dovevano comunque essere disattesi. Un’ora dopo la mezzanotte, puntualmente mi incontrai con la hostess, si dimostrò affabile e simpatica, un pochino larga di fianchi, ma non troppo, ma aveva due occhi verdi smeraldo che non potevi non fissare. Parlammo della nostra vita, di quello che facevamo, se eravamo ‘impegnati’ e quant’altro. L’orario tardo, il viaggio alle spalle, quello che ci aspettava da Brindisi a Roma, furono elementi che non mi permisero di stare con lei tutta la notte. Scambiati i numeri del telefono, ci congedammo quasi come due vecchi amici. Mi sono dimenticato il nome, ma non il colore dei suoi occhi.
Dormii profondamente e alle 7:30 dell’11 ottobre mi svegliai di soprassalto con il rumore del ponte auto che veniva calato sulla banchina. Mi vestii di corsa, una sciacquata al viso rapidissima, e mi diressi a passo svelto verso la poppa della nave per vedere se la Fiesta rossa era lì in attesa per l’imbarco.
Guardai a di sotto, a destra, a sinistra, scrutai l’orizzonte. Nessuna traccia, nessuna auto rossa, niente di niente.
Pur non avendo fatto colazione, mi accesi la prima sigaretta della giornata, l’aria frizzante, il sole filtrato ancora dalle montagne circostanti, rendevano il mio stato d’animo, meno tormentato. Non mi capacitavo ancora di non averle trovate, di non aver rivisto ancora una volta Lina, con il suo radioso sorriso, la sua pelle abbronzata, la sua capigliatura leonina, schiarita ancor di più dai raggi solari che ci avevano interminabilmente accompagnato per tutta la vacanza.
Terminata la sigaretta, decisi, di prolungare il piacere momentaneo facendo la strada più lunga per ritornare in cabina. L’aria mi stava regalando degli attimi inaspettati di benessere prima, del viaggio di sette ore, che poteva essere noioso e stancante, sia per lo stato d’animo, sia perché su un traghetto, non c’e’ quasi mai nulla da fare. Anche l’hostess, mi avrebbe lasciato da li a breve, sarebbe sbarcata a Kerkira poco dopo.
Qualche secondo per orizzontarmi, intrapresi il corridoio scialuppe dove un’enorme porta automatica a vetri, mi avrebbe aperto la via per la cabina, che era da riassettare e da sgomberare prima delle dieci. A testa bassa e comunque distratto, vidi la porta scorrevole aprirsi davanti a me. Dalla parte opposta della vetrata c’era Lina, sorridente come non mai, che mi abbracciò e mi disse che viaggiarono tutta la notte per raggiungere il porto. Non avevo visto la loro auto, perché erano state le prime ad entrare.
Salutato i rimanenti membri del gruppo salentino, ‘catturai’ Lina e la portai sul ponte superiore dove iniziò un interminabile dialogo di 7 ore approfondito sulle nostre vite, senza segreti, senza remore senza filtri o inibizioni. Parlammo di tutto, dalle rispettive famiglie alle ex ‘compagnie’, dalla droga alle vacanze, dall’estetica all’astronomia, dal sesso alla religione, dalla cucina all’elettronica, discutemmo su tutto e di tutto due libri aperti sulle nostre vite.
Sentimmo entrambi il bisogno di andare in bagno una sola volta, non quello di mangiare, e di bere, parlando ininterrottamente, le sette ore volarono per entrambi.
Una cosa non mi chiarì, se la corsa sul molo gridando il mio nome, l’avesse fatto per farmi fare un tentativo disperato di fermare la nave o perché realmente gli dispiacesse di lasciarmi.
Arrivammo a Brindisi, scesi dalla nave mi diressi verso un bar per acquistare dei cioccolatini e per trovare un fiore da regalargli. Solo la cioccolata trovai, dopotutto era anche il giorno del suo compleanno.
Era arrivato veramente il momento di salutarci e con le lacrime agli occhi gli sussurrai ad un orecchio: Dammi tempo un mese per sistemare con la mia ragazza, poi ti vengo a prendere e ti porto da me.
Era scettica, pensava che non sarebbe stato cosi. Fugai ogni suo dubbio e la raggiunsi esattamente dopo un mese a San Benedetto del Tronto, dove lei insegnava per qualche giorno, estetica ad un gruppo di estetiste.
Dopo un anno e mezzo, esattamente il giorno che l’italiaparenti e amici festeggiavano noi, di sera all’Hotel Hyencos nelle vicinanze di Ugento. Quel giorno, Lina, divenne mia moglie. (fine)

La pesca Galeotta Parte 4

Dimitri personaggio piacente, parlava incredibilmente italiano e ci faceva mangiare con pochi soldi, tanto alla fine di giustificare la spesa in sole vezzosità tipo formaggi per qualcuno, salamini per qualcun altro e molta innegabile Nutella per uno solo di noi. Il Dimitri, come ricordo, era il cuoco, il cameriere, l’uomo dei vini. Ovvero il factotum del ristorante. Giustificava la mancanza di personale, (come che a noi desse fastidio), a causa della stagione ormai terminata. Spesso e volentieri, dopo cena, si metteva seduto accanto a noi e ci raccontava storie e aneddoti del posto. Purtroppo frugando nella mia mente, non ne trovo traccia. In effetti, la mia attenzione ormai era interamente catturata dalla salentina ormai abbronzantissima. Ricordo il particolare che Dimitri ormai, da vecchio conoscitore di turisti, spingeva sia lei che me a stare seduti accanto ed eravamo sempre i primi ad essere serviti. Il volpone consapevolmente, ogni volta mi spianava la strada e lo sguardo verso il Nello mi diceva che avevo via libera.
Molteplici scherzi caratterizzarono quella vacanza si tra il nostro gruppo che fra quello nostro e quello salentino. Lo scherzo della murena fu il più audace, infatti coricai la murena vicino la testa di Lina mentre dormiva e svegliandola di sobbalzo, si vide la faccia del serpente marino davanti i suoi occhi, si alzo di almeno 10 cm per lo spavento. Ovviamente, rassegnati, le canne da pesca servivano ormai per pescare dal piano di sopra ogni tipo di indumenti femminili stesi ad asciugare al sole.
Due incontri subacquei particolari, comunque ci furono. Il primo, che poi divenne compagno di vacanza, con un barracuda solitario, con un aspetto inquietante, ma non troppo visto che non era in branco. Il secondo con la murena assassina che voleva azzannare Marco.
Il signor barracuda, abbastanza grande, era l’abitante più illustre di quella baia, si aggirava indisturbato e consapevole delle nostre innocue intenzioni. Infatti sembrava sorridesse, dall’alto della sua incredibile velocità, quando qualcuno di noi provava a puntare una delle armi più cattive della nostra armeria, il fucile ad elastico da 120 cm con mulinello incorporato per la sagola della fiocina, riusciva ad spostarsi dalla parte opposta come ci avesse letto nella mente. Ci convincemmo che lo faceva veramente. Questo barracuda aveva il dono di sparire e riapparire in un batter d’occhio. Lo vedevi alla tua destra, sbattevi le palpebre nel fisiologico modo, stava già alla tua sinistra. Probabilmente era il guardiano del posto. Il suo occhio vitreo che guarda in ogni dove, meritava rispetto, tanto che ormai lo salutavamo quasi sempre ad ogni nostra immersione. Se non lo vedevamo, ci dispiaceva. Qualcuno di noi, ed anche io, eravamo consapevoli però che lui ci stesse osservando comunque. Non abbiamo mai azzardato a ‘tirargli’ anche perchè se lo mancavamo, avrebbe potuto chiamare i suoi amici e non ci sembrava carino essere il loro pranzo.
La murena assassina, probabile titolo di un film trash degli anni 70, era veramente cattiva. Dico era perché venne uccisa ma non troppo. Fu combattiva fino alla fine e anche su la spiaggia fu dura a morire. La vicenda della murena, scosse tutti quanti infatti, mentre eravamo a fare snorkling Marco davanti a noi, si affacciava, stando sottacqua, ad una scogliera piena di alghe, anemoni e ogni tipo di flora marina. Con la sua solita flemma, fece l’immersione perché attratto da un movimento nelle vicinanze di uno scoglio sommerso, ad una distanza di due o tre metri dalla parete rocciosa. La murena, infastidita, si staccò dalla tarpea rupe sottomarina e con fare inquietante si diresse verso il polpaccio di Marco. Nulla potevamo fare con le nostre armi ad elastico, potevamo rischiare di colpire il pesce Marco. Se la sbrigò egregiamente da solo. Incredibilmente come Clint Eastwood nel migliore dei film western, Marco estrasse la pistola di 30 centimetri ad aria compressa, equipaggiata con un tridente. Per sicurezza, per esperienza, non ultimo perché è un pescatore da scoglio, Submariner, portava sempre, questa pistola al polpaccio opposto a quello adocchiato dalla murena. Senza nemmeno prendere la mira, ruotando su se stesso, sparò senza esitazione colpendola alla gola, la quale con energia, incominciò a scodare. Un applauso subacqueo si levò all’unisono, o meglio, in silenzio, ci aspettavamo tutti che soffiasse sulla canna della pistoletta.
Venimmo poi a sapere che Marco la murena l’aveva vista e dall’alto della sua esperienza la stava ‘tracciando’ con la coda dell’occhio. Fu l’evento della giornata e via, tutti giù a farsi le foto con la preda ormai morente. Anche le salentine, accorsero e acclamarono con entusiasmo, un poco amplificato, la cattura della preda. Spesso si poteva ascoltare qualche commento ironico nei nostri confronti relativamente alla poca pesca. Nemmeno eravamo amici a momenti, già pretendevano che gli portavamo da mangiare a casa ;) eheheh.
I rapporti con Lina erano ormai abbastanza stretti, malgrado le avances fossero da parte mia fossero ormai pressanti, ne un effusione sentimentale, ne una confidenza sottovoce stavano caratterizzando il nostro poco remunerativo rapporto. I scherzetti infantili tra di noi venivano regolarmente effettuati, ma non presagivano una conoscenza ‘approfondita’ o qualcosa che potesse essere preludio e risoluzione di una particolare voglia.
Verso il tramonto, era solita fare delle passeggiate alla quali, prontamente mi offrivo di accompagnarla. Qualche corsetta era annoverata, ma forse più per farsi vedere atletica che per reale necessità.
La vacanza ormai volgeva al termine. In un tempo variabile di dodici, ventiquattro ore, ma prossimo, alle grandi partenze sia per andare o tornare dalle vacanze, mi prende, solitamente, una tristezza e nervosismo, che ormai, ma solo da qualche anno, riesco a controllare. Il cervello inizia a pensare alla preparazione dei bagagli, al viaggio, allo strapazzo dello scaricare l’auto, accompagnare o prendere eventuali compagni di viaggio, lo chiamo stress ante partenza. Stavolta questo stress sopraggiunse inaspettatamente con grande anticipo. Il pomeriggio dell’ultimo giorno di permanenza a Kardamili andammo a prenotare per tempo la cena, in modo da poter permettere al Dimitri di prepararci una cena abbondante, degna di un arrivederci a data da destinarsi. Rassicurandoci caldamente, ci disse di non preoccuparci ne sul contenuto, ne sul costo. Dopotutto l’inaspettato prolungamento di stagione, lo aveva entusiasmato, era diciamo, diventato un esterno del gruppo.
Il calar della sera, venne veramente presto. Il momento dei miei famosi ripensamenti, dei ‘se’ era arrivato. Non avevo, concluso nulla, avevo forse sbagliato tattica, ero stato troppo irruento, l’avevo pressata troppo? Avrei dovuto fare di più? Queste furono le mie domande prima di raccoglierci tutti quanti intorno ad una tavola imbandita di antipasti di mare. Di tempo per riflettere sulle strategie, rivelatesi errate, ne avevo avuto, infatti, mentre preparavo le mie valige, pulivo l’attrezzatura e caricavo l’auto, ero assorto in questa sorta di pensieri.
L’indomani sera, la nave per lo stivale, sarebbe partita da Patrasso con un passeggero triste e sconsolato.
La cena fu spettacolare, non di meno le prestazioni di tutti noi, chi scherzava e chi rideva, chi mangiava, chi stava bevendo come spugne. Vuoi per il vino, vuoi per l’atmosfera gioiosa che si era creata, non so come, raccontai barzellette ininterrottamente dalle ventitre alle due di notte. Non ricordo quante fossero, mi dissero più di duecento. Non ricordavo o meglio non sapevo di riuscire a ottenere una simile performance. Salutammo Dimitri, con la promessa di rivederci.La serata, o meglio la notte, grazie agli effluvi dell’alcool non mi diede a pensare troppo. La mattina partimmo subito dopo la colazione. Il commiato dai greci, fu educato e formale. Il viaggio di avvicinamento a Patrasso fu silenzioso e pensieroso per tutti, l’avvicinamento alla realtà lavorativa, incominciava a farsi sentire. Io guidavo il BMW silenziosamente e con un rimorso ancor più pesante visto che mi sarebbe piaciuto sentire una frase impossibile: ‘Guido… ti dispiace se vengo con te in macchina?’. Ciò, ovviamente, non avvenne. Arrivammo a Patrasso di sera, avevamo circa tre ore di anticipo sulle operazioni di imbarco. Qui ci saremmo dovuti dividere, infatti loro, avevano un biglietto con data partenza 11 Ottobre e non 10 come il nostro. Ci adoperammo tutti a trovare una sistemazione per le donne salentine. Trovammo un Hotel a circa cinque Km dal porto. La decisione di Lina di rimanere in Hotel, invece di venirci a dare un ultimo saluto al porto, come aveva scelto la leader e l’infermiera, mi lasciò di stucco. Ormai rassegnato la salutai e ci dirigemmo all’imbarco. Ci fermammo al tabaccaio per acquistare un congruo numero di pacchetti. Non mi azzardai a dire prendiamole sulla nave, ma lo avevo, malgrado tutto pensato. Provvidenziale fu l’anticipo, un traffico eccezionale, ci fece arrivare con un leggero ritardo rispetto al primo imbarco, (sono quelli che escono per primi solitamente), quindi imbarcammo le auto e rimanemmo sul pontile a chiacchierare tra di noi e le due superstiti. La partenza era ormai prossima, e una hostess della nave, piuttosto carina fece un incauto, (per lei), apprezzamento alle mie gambe. Il vuoto lasciato dalla salentina, senza cuore, fu per un attimo colmato da questa affermazione. Nel frattempo, mentre allaccio i rapporti di fratellanza e amicizia con la suddetta pipetta, niente male a dire il vero, qualcuno ci disse che era ora di partire. All’unisono un urlo inquietante di Anna e di Maria, catturò la nostra attenzione, più dell’imminente imbarco. (segue)

La pesca Galeotta Parte 3

Appena parcheggiate le auto, il Maurizio, si preoccupò immediatamente di mettere la sua sotto una tettoia in pagliericcio, anche e soprattutto per ripararla da eventuali cadute di resina dagli alberi. Rassicuratosi grazie al portiere della pensione, sull’incidenza dei furti d’auto della Grecia e soprattutto di quella località, prendemmo possesso delle chiavi delle rispettive camere.
Il gruppo della Fiesta dimenticò la chiave all’interno della stanza e il portiere non aveva il duplicato. Le stanze erano collegate da condotti dell’aria climatizzata, non presente, perché ancora in costruzione. Per fare l’eroe prontamente mi offrii per raggiungere la loro stanza dai suddetti cunicoli e aprire dall’interno la porta. Tra calcinacci, chiodi e piccoli abitanti degli incavi nel cemento armato, ci riuscii con un savoirfaire tale da attirare nuovamente l’attenzione e guadagnarmi, almeno in parte, ma anche immeritatamente la qualifica di leader del gruppo. Ormai riuscivo a catturare fuggevoli sguardi da parte della donna in bianco, che ormai aveva pantaloncini bianchi e maglietta bianca con sopra una giacchetta tra il marrone e il viola. Malgrado non sia daltonico, non conosco benissimo tutti i nomi dei colori. Mi fermo all’arcobaleno.
Cenammo spensieratamente, tra dialoghi conoscitivi e simpatici sorrisi. Ovviamente il mio sguardo insisteva, educatamente all’indirizzo della donna Lina, la quale sembrava non curante delle mie attenzioni. Forte del proverbio <>, il suo atteggiamento, non funzionò da deterrente.
Pianificammo l’itinerario stradale e dopo il classico commiato, andammo a letto. La dormita fu globalmente profonda e corroborante, la mattina ci alzammo come dei squali affamati pronti ad azzannare qualsiasi cosa di commestibile ci si presentasse davanti.
Il barista non immaginava nemmeno con chi aveva a che fare. Spazzolammo l’intera scorta di croissant e caffelatte. Finalmente, aspettando come al solito le donne ritardatarie, ci rimettemmo in viaggio. L’ atteggiamento vacanziero e festoso aveva la sua manifestazione con smorfie di ogni tipo dai finestrini, sorpassi azzardati per la strada non conosciuta, occhiolini e sorrisi da parte di tutti e due i gruppi. Innegabilmente un feeling si era instaurato. Arrivammo verso le 16 del 5 Ottobre alla tanto sospirata località a sud di Kalamata. Ci ricevette un distinto signore greco con uno stentato inglese, il quale a gesti, data la nostra preparazione e la sua preparazione, non troppo accademica, dell’inglese parlato, ci spiegò come erano le loro camere (poi rivelatesi appartamenti comodissimi). La cosa che ci colpì in maniera indelebile, fu l’arrivo del figlio del signore greco. Ci parlò con un inglese Oxfordiano e volle assolutamente offrirci il tè alle 17 esatte.
Gli appartamenti in riva al mare di nuovissima fattura, dipinti di fresco e curatissimi nei minimi particolari, furono occupati con entusiasmo da parte di tutti. Optammo per il piano di sopra noi, e sotto il gruppo salentino.
Appena accomodati, infervorati dal luogo e dal reale inizio della vacanza, andammo baldanzosi a fare il sopralluogo per l’immersione di pesca che, a presta ora, sarebbe avvenuta l’indomani mattina.
Arrivammo sulla spiaggia di sassi, trovammo immediatamente il posto per poter stabilire la base. Dove pianificare gli attacchi alla ignare creature acquatiche. La base sarebbe stata comoda anche sotto il sole cocente. Infatti, la vegetazione circostante folta, ci permetteva di stendere il telo per ripararci dal sole e non ultimo gli stenditoi naturali per fare asciugare mute e asciugamani. Anche il posto del gommone di Giuseppe era adatto. Rapido nel metterlo in acqua, veloce a ritirarlo. L’unica raccomandazione che il lord inglese ci aveva fatto era di rimuovere via il motore ogni giorno. Il motore lo potevano rubare. Ciò mise in allerta Maurizio che subito, in stentatissimo inglese, chiese se anche il suo bolide a quattro ruote fosse potuto essere oggetto di altrui desiderio. (ah dimenticavo, l’auto, rigorosamente parcheggiata, era stata tappezzata dall’interno da scudi termici, che rimanevano nella corretta posizione grazie alle alette parasole, riflettenti e tendine posticce che potevano salvare la tappezzeria dal sole terzo, non ultimo, l’asciugamano sul volante, per evitare screpolature della plastica).

Per rendere l’idea delle nostre intenzioni, non posso esimermi dal descrivere l’Attrezzatura.
L’attrezzatura di pesca in dotazione era veramente impressionante. Se qualcuno ci avesse voluto giudicare guardando i nostri ‘averi’, si sarebbe convinto che eravamo incroci tra Superman, Submariner, uomini rana, 007, Seals, Batman e Uomo Ragno. Si sarebbero rassegnati a non pescare più nulla per i prossimi cinquant’anni. Saremmo stati additati quali gli Attila dei sette mari. Anche i pesci, se avessero potuto vedere la tipologia di armamenti in nostro possesso, si sarebbero gettati, come arditi eroi di altri tempi, per salvare i loro figli, sui nostri retini e panieri senza proferire lamento, movimento, pur di non subire le atroci sofferenze che simili avveniristici mezzi potevano infliggere. Le mute rigorosamente Artiche e Antartiche per lunghissime immersioni. Pinne professionali che garantivano un’accelerazione vertiginosa e costante pari ad un 16 valvole turbo in mezzo al mare. Coltelli da posizionarsi sulle caviglie, più simili a macheti e sciabole. Fucili di tutti i tipi, lunghezze a molla 30, 40, 50, 70 cm, stesse misure per quelli ad aria compressa e sopratutto ad elastico da 80, 100, 120 cm rigorosamente di marca Omer, con mulinelli incorporati, <> quindi non si spaventa. Inutile dire che i fucili erano anche di colori differenti per potersi intonare con le mute rosse, blu, nere, leopardate e militari. (d’altronde una muta sempre abito da indossare è… ci vuole eleganza). Tridenti, fiocine e Kit di sopravvivenza, starlight e lampade da immersione, fari alogeni. Maschere graduate, boccagli auto sigillanti, occhialini siliconici, cavigliere con pesi e cinte con piombi sia per profondità sia per mantenere neutre le mute. Degne di nota anche le canne da pesca. Franchi da sette metri e cinquanta, canne al carbonio da lancio e da punta e da traina. Ami, milioni di ami, galleggianti colorati, a piuma, di plastica, sughero, polistirolo. Ancorotti, ami, bave, (fili da pesca), di tutti le misure, pesi e colori. Terminali in acciaio per Squali, Ricciòle, Pesce Serra e Barracuda. Eravamo un reggimento pronto a depauperare la fauna ittica. Una cosa ci mancava, l’esplosivo e chi sapesse usarlo. Se ci avessero visto dei non pescatori, avrebbero pensato che la sporca dozzina (malgrado fossimo in 7), di chissà quale stato, stesse invadendo il Peloponneso da sud.

Un breve cenno su attitudini e inettitudini del gruppo è doveroso per capire come la combriccola fosse eterogenea e omogenea nel contempo.
Maurizio, abile sistemista programmatore, a parte la paranoia della automobile perfetta, pulita, sempre tagliandi, profumata, lucidata, incerata, asettica, ha sempre la battuta pronta. Essendo non fumatore, atletico e ben piazzato, aveva un apnea quasi impossibile da superare. Non per Marco, semi partenopeo, programmatore e operatore di sistemi Mainframe, nativo di una delle più belle isole italiane, le Pontine. Coltissimo e tranquillo, quasi laureato in Agraria, grande fumatore e bevitore di decilitri di caffè, aveva un’abilità e tranquillità in apnea da far invidia a tutti. Era uno spettacolo vederlo sott’acqua. Il suo colpo di pinna, lento ma deciso, gli faceva raggiungere i dieci metri in un baleno, il fatto che raggiunta la profondità, continuava a nuotare cercando in anfratti scogliosi come se stesse respirando ossigeno. Era il più saggio del gruppo, il mio migliore ex amico. Nello, fratello della mia ex ragazza, attuale a quel tempo, era il ‘ragazzino’ del gruppo. La sua spensieratezza e incoscienza giovanile, effettivamente un poco ci trasportava, e un poco era invidiata. Eccitato dalla sua prima uscita all’estero, e per giunta senza genitori era partenopeo DOC come detto prima, aveva anche atteggiamenti eccessivamente menefreghisti, osava troppo con la confidenza, ma era giovane e quindi scusato. Rendeva le cose difficili sempre semplici. Anche il procacciare nel supermercato del luogo spesso e volentieri diventava più una spesa ‘proletaria’ che reale. Fumava molto, questo lo ricordo bene, Marlboro rosse.
Il Giuseppe, personaggio scansafatiche, abile cultore nel evitare qualsiasi tipo di lavoro. Anche domestico, tipo pulire il bagno, rifarsi il letto, o cucinare. Leggermente parsimonioso, al pari di Maurizio. Era un abile controllore di scontrini degli empori e negozi, (visti comunque di rado), e grazie a Nello i conti non tornavano. Avevamo sempre più roba rispetto a quella indicata nei fiscali pezzi di carta. Giuseppe malgrado la sua forma rotondeggiante, paventava una conoscenza, sempre superficiale o per sentito dire, sulle esche per ami, ma anche lui quanto ad apnea e resistenza, non era terzo a nessuno. Grande difetto, gli piaceva pescare ma odiava il sapore del pesce, malgrado non lo avesse mai, dico mai, assaggiato.
Il Fabio è tuttora una delle persone più buone di questo mondo. La saggezza era inesistente, anche lui spensierato, proveniente da un paesino intorno a Roma, vedeva la realtà, per carità nota ad i suoi occhi, leggermente differente da noi. Non esitava a bevicchiare qualcosa anche a mezza mattina. La sera quasi sempre brillo, era oggetto di qualche scherzo. Dopo ne racconterò uno in particolare. Il Fabio, alla prima esperienza di pesca a mare, ma non estera infatti per tutta la vacanza ci decantava le qualità della Spagna con le sue attrattive femminili e in particolare di Benidorm. Abile lavoratore, programmatore, era la persona che si offriva sempre a fare tutto, con la sua ‘marlborella light’ in bocca e l’occhio socchiuso a causa del fumo della sigaretta, poteva pulire, cucinare, nuotare e soprattutto con il bicchiere in mano di rum, whisky, tequila, o qualcosa che superasse i quaranta gradi, anche ballare con la movenza dell’Airone. Si, era di moda un ballo House con una musica martellante che si doveva ballare con le braccia a crocefisso e girare intorno a tutta la stanza, casa, scale. Avevo paura che prima o poi volasse davvero.
Massimo prolisso personaggio, analitico e dalla favella catturante aveva più problemi di Giuseppe nel cibo. Mentre Giuseppe aborriva frutta, verdura, pesce, aglio, prezzemolo, basilico e semi di pomodoro, ma non patatine e carne. Massimo odiava anche i formaggi, il pesce con le spine, gli hamburger grassi, le verdure in genere ma non la Nutella e la frutta. Mangiatore di un barattolo al giorno del cremoso cioccolato, senza gli immancabili effetti collaterali. Anche lui alla prima esperienza di pesca con il gruppo, si rivelò un cauto esploratori di fondali, più attratto dai paesaggi e dalla flora e fauna ittica, che dalla cattura del pesce.
Io, Guido, programmatore di computer, poliedricamente adattabile, mi cimentavo nella cucina, nelle pulizie, nelle cose pratiche che, sopratutto Giuseppe scansava, Una cosa che mi fu tassativamente interdetta era il non fare la spesa, infatti, a causa della facile attitudine all’acquisto, questa poteva rivelarsi più un lato negativo e positivo, essendoci con noi amici non troppo abituati a spendere. Un’altra cosa che non sopportavo e non sopporto era il disordine, sia di Nello che di Marco. Malgrado ciò non si è mai arrivati alla discussione. Medio basso personaggio in apnea, sia per il sintomatico disprezzo di ogni attività fisica e soprattutto abile fumatore di sigarette, la vacanza la considerai molto più come svago che come attività di pescaggio vera e propria. E non stavo disprezzando la possibilità di catturare un pesce femmina nella mia rete. Malgrado la presenza di Nello, che era un deterrente, ma confidando poi nella sua solidarietà maschile.

Il gruppo delle donne, conosciuto poi molto bene, era composto dalla leader Anna parrucchiera affermata nella sua terra, la sorella Lina estetista, Annamaria, dipendente di Anna, Maria saggia infermiera simpatica e intelligentissima. Il loro gruppo, a dir il vero, autonomo, ci raggiungeva in tarda mattinata, quando noi, avevamo fatto ben più di una immersione. Assistevo ormai al rito della distribuzione sul corpo della crema da parte della fatina che ormai avevo più che adocchiato. Gambe flessuose e magre fin sopra le ginocchia, Quadricipiti a dir il vero, sovradimensionati, fisico asciutto, petto, viso bocca bellissimi, il posteriore leggermente grande. Si spalmava la crema con atteggiamento vezzoso ma non vanitoso, con pochi sguardi in giro e concentrata soprattutto sulla riuscita dell’operazione. Si vedeva che non voleva lasciare nessun millimetro quadrato scoperto dall’olio abbronzante. Come al solito la sfiga volle, per noi maschietti, che nessuno di loro amava prendere il sole in topless. Ricordo come fosse oggi quando usciva dall’acqua, mi veniva spesso in mente una canzone che sentivo cantare dalla mia mamma, di Fred Bongusto.
A breve termine, iniziarono le operazioni di pesca, due pescetti, murene, polipi ma nulla che giustificasse tutto l’armamentario che avevamo, insomma, non abbiamo mai praticamente fatto una enorme mangiata di pesce se non al ristorantino di un certo Dimitri. (segue)

La pesca Galeotta Parte 2

Con un poco di inquietudine, mal celata, di tutti quanti, ci dirigiamo verso il gruppo salentino, per salutarlo, e per rincalzare in parte la dose, di venire a passare la vacanza con noi. I rispettivi alloggi notturni ci attendevano. Ricordo vagamente il disagio di non aver preso cabine con il bagno, ma solo con un lavandino.
La cabina era stretta, con un odore particolare, forse di vernice fresca o di qualche deodorante, messo lì per rendere l’ambiente più accogliente. La sistemazione fu così decisa: Guido, Nello un'altra Marco, Giuseppe, Massimo ed infine Maurizio,Francesco.

Finalmente a letto.

I sussulti e il rumore della nave, aumentavano nel corso delle ore notturne. Lo sbattere della prua sulle onde si faceva sempre più ripetitivo, mentre il fragore disturbava in maniera insopportabile il poco sonno che già, a quel tempo, mancava.
Ricordo chiaramente l’espressione di nausea di uno di noi, e doveva essere sintomo comune, dato che il puzzo acre di qualche sventurato, si faceva ormai largo, coprendo il deodorantino o l’odore della vernice della nave.

Non tutti i mali vengono per nuocere.

La mattina, non tardò ad arrivare. Sicuramente intontiti dal poco sonno, ci rechiamo negli squallidi bagni per sistemarci un po’ con occhi. Erano impraticabili, era il quartiere generale dei succhi gastrici emessi da sfortunatissimi e deboli di stomaco, passeggeri dell’arca della speranza.. Come ero entrato, con un abile e rapido dietrofront mi riavvio verso la nostra cabina, e ringraziai qualcuno per averci dato un lavandino in cabina. Dove, seppi in seguito, Nello aveva abbondantemente urinato a causa dell’impraticabilità appena detta dei bagni comuni.

Certo non proprio felici, ed incuriositi, un drappello di noi, o meglio, chi non aveva accusato il colpo nauseabondo, si recò sul ponte per vedere il mare.

INCAZZATISSIMO MARE, abbiamo letto sui giornali poi, che praticamente ciò che stavamo vedendo, era una autentica tempesta nell’adriatico. La nave con i sventurati ormai non fumatori, (a dir il vero nemmeno io avevo voglia di fumare), era diventata un’inquietante oggettino galleggiante, circondato da onde alte che spazzavano, senza problemi il ponte di prua e non di rado il secondo ponte a circa cinque o sei metri più in alto.
Intimoriti ma anche affascinati da questo fragore, spruzzi bianchi, profumo appiccicoso di salsedine, giocavamo come dei bambini. Il gioco consisteva nell’aspettare l’onda più alta per poi abbassarci prontamente facendoci scudo con la ‘ringhiera’ (chiusa) di questo secondo ponte. Il divertimento più grande venne appena arrivò Maurizio, il più alto, un metro e novantacinque, il quale ignaro ci vide ridere come dei cretini. Ben presto arrivò un'altra onda, forse delle più alte. Prontamente sgarzelloni (pratici), ci abbassammo facendoci scudo, lui rimase interdetto dalla nostra reazione e fu sommerso da capo a piedi da spumeggianti flutti, irrimediabilmente bagnato. A nulla valsero i nostri poco consoni proverbi <> , <>’ . Furioso se ne tornò in cabina e scomparve per almeno due ore. Qualche esponente del gruppo da convincere, si incominciò ad intravedere. La salentina carina, mancava all’appello. Nel frattempo la nave cercava di avvicinarsi al porto di Kerkira. Molta gente si stava preparando e stava raccogliendo la propria roba, compreso il gruppo adocchiato in precedenza ormai al completo. Ricordo la bellezza della ragazza vestita ancora di bianco, senza trucco, con occhini assonnati ma dolci nel contempo. Un’immagine che non dimenticherò mai. Ma il tempo tiranno per loro, svolse un importante aiuto nel convincere il gruppo a seguirci nel nostro luogo di vacanza, descritto ormai come l’eden sulla terra. Infatti i molteplici tentativi per raggiungere il porto di Kerkira , fallirono miseramente. La nave in porto, addirittura a un miglio circa dal porto, non riusciva ad avvicinarsi.
Il ben augurante, (per noi), annuncio dell’altoparlante, avvisava i gentili passeggeri che la nave, fallendo l’attracco, (o meglio l’entrata nel porto), avrebbe fatto scendere i naviganti alla successiva fermata. Igoumenitsa. Qualcosa dentro di me mi rendeva gioioso, ma l’altro aspetto, pessimista, mi faceva pensare all’incredibile forza del mare che non permetteva di fare ciò che noi, esseri umani, volevamo fare. Questo sentimento o impressione di impotenza, un poco mi preoccupava. Stessa sinfonia l’ascoltammo dopo qualche ora davanti al porto della seconda sosta programmata. E mentre prima, il gruppo salentino aveva sperato nel ritorno della nave verso la loro destinazione, credendo in un miglioramento repentino delle condizioni del tempo, ormai si rassegnò a seguirci in qualsiasi posto potevamo garantirgli, essendo diventato un gruppo senza meta. Come d’incanto diventammo simpatici, e la cosa più importante che la tipetta, aveva annuito senza colpo ferire alla scelta maturata dalla sorella e dalle sue amiche, durante una delle sue frequenti assenze.

Arrivammo a Patrasso, dove il mare, sembrò calmarsi. Dopotutto Patrasso è dentro un golfo e il porto, decisamente più grande. Raccogliemmo la roba anche noi. E con l’accordo di essere seguiti, ci dirigemmo verso le auto. Fortunatamente l’alfa 33 di Maurizio non aveva subito nessun schizzo di salsedine (malgrado secondo me, meditava, su una possibile sosta a qualche autogrill per dare una passata di grafite alla sua auto, perché sicuramente era stata attaccata dalla salsedine).
Le tipe, avevano una Fiesta rossa targata Lecce, nuova di fabbrica. Essendo loro in quattro e una di loro molto brutta, decidemmo, riprendendo da un jingle dell’epoca, di prenderle in giro dicendo <>. Le pratiche di sbarco furono effettuate senza grossi problemi, ma durarono molto. Infatti il tempo dei tentativi a Kerkira, Igoumenitsa e le innegabili problematiche che molti passeggeri avevano sollevato con la direzione della nave, fecero sommare circa sette ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Un lato positivo ci fu, eravamo quasi certi che smettere di fumare era possibile visto che solo uno di noi era in vera astinenza da nicotina. Marco.

Ci incamminammo con le nostre auto, per raggiungere la ormai tanto ambita meta. Ci fermammo a comprare circa una decina di stecche di sigarette complessivamente. Il paesaggio intervallato da strutture basse di calce, piante filiformi sul ciglio della strada color oro, il cielo ormai terzo, e la gioia di avere delle donne al seguito, di cui una molto interessante per me, rendeva il ritorno in questa terra, veramente differente, mi dava una sensazione di tranquillità e spensieratezza, quasi mai provata, e una innegabile felicità di libertà, che da molto tempo, circa sette anni, che non provavo. Infatti la mia ragazza, rimasta a Napoli, fin troppo gelosa, non mi lasciava troppo spazio e troppe scelte tra lei e le mie amicizie. Il fatto di stare lontano, di avere scuse per non telefonare ogni mezzora, mi rendeva libero da ogni impegno promesso. Nello il fratello della mia ragazza, napoletano DOC, aveva, come tutti, fame. Solo che lui disse coloritamente e metaforicamente, come solo la gente partenopea sa fare: ‘Ueee Uaglio tengh ‘e rane rintro ‘o stommaco c’hamm a ferma’ acca’ ‘e girini se stanno facendo largo tra nu poco m’e ‘mmastico ’ (mi perdonino i conoscitori della lingua scritta). Mangiammo in una trattoria ‘tipica’ greca. Uno di noi, ovvero io, con sottofondo musicale vocale, di tutti quanti, incominciai a mettermi in bella mostra intonando Stornelli Romani che a tanti non di Roma, fanno sbellicare dalle risate. Notavo che la tipa di nome Lina, incominciava a ‘tirarsela’ di meno ed era visibilmente contenta e soprattutto ricreduta della compagnia. Il primo mattone era stato gettato. Anche il pranzo si protrasse un poco troppo infatti ormai erano circa le 17:00 e ci rimettemmo in viaggio. Ben consci che la notte, ci avrebbe sorpreso prima di arrivare a destinazione. strada facendo, iniziammo la ricerca di un ricovero notturno.
Infatti il pilota della Fiesta al seguito, l’Anna, non amava guidare di notte e quindi ci ‘costrinse’ a fermarci. Trovammo una pensione niente male con delle stanze, ancora in costruzione particolare che si rivelò poi una peculiarità importante. Erano pulite, luminose e sicuramente molto più confortevoli della cabina di una nave. Per la cronaca, prima dell’arrivo nel suddetto posto, il posacenere del BMW, fu svuotato più di tre volte. (segue)