mercoledì 18 luglio 2007

Rugiada

Come la rugiada che risveglia i fiori,
senza luce ne rilevo le forme.

(anonimo su una cartolina)

L'incontro - Parte 1

Il tramonto si stava affacciando sulla baia, il panfilo ormeggiato alla mia destra era osservato da più di un passante, maestoso e bello rendeva più accattivante il posto. Sembrava una serata come tante, ma così non fu. Nella piazzetta, centrale denominata Piazza delle Cinque Terre, gestita interamente nei suoi servizi da tale Enea Lobo, si respirava aria di mare. Le panchine poste tatticamente, sul lungo mare erano distanziate l’une dalle altre di qualche metro. La pavimentazione, di un rosso di Siena spento, terminava con una ringhiera in ferro battuto, per proteggere i passanti da eventuali cadute in un mare poco profondo e sempre calmo. Il rumore dei flutti, alquanto reale faceva compagnia a tutti noi, i colori del cielo, pulito e perfetto, si fondevano gli uni con gli altri. Un annuncio insolente e cadenzato, destava ogni tanto l’attenzione di qualche passante. Raccomandava di non usare armi, di non fare chiasso e di non disturbare, giustamente, gli altri.
Alle mie spalle uno stand della Mondadori con il suo banner pubblicitario senza fine, ricordava le pubblicazioni informatiche della casa editrice.
Le Cinque Terre era un luogo particolare, permetteva facili guadagni, solo standosene seduti a guardare il mare o la pubblicità elettronica dei vari stands. I passanti, velocissimi, ed alcuni con atteggiamento furtivo, si avvicendavano, correvano per accaparrarsi il posto, appena liberato, su una di queste sei panchine. L’ambiente bello, curato, era ed è tutt’ora rovinato dall’interesse economico, gente seduta, di molte nazionalità sembrava assorta in altre faccende, e praticamente non aveva attitudine al dialogo.
E’ in questi posti, sopratutto quando seduti, che ognuno di noi si guarda in tasca, verifica il proprio inventario e incomincia, prosegue o termina, la sistemazione degli oggetti raccolti in giro per le lande che ha precedentemente visitato.
Mentre procedevo nella ‘manutenzione’ del mio inventario, ascoltavo i pochi dialoghi della gente vicina. La lingua preminente alle Cinque Terre è l’italiano, ma spesso gruppi parlanti Francese, Tedesco, Inglese nella maggior parte, vengono a fare visita e magari trovare un posto a sedere per poter guadagnare qualcosa.
Maschi ben vestiti, curati e dal fisico perfetto, si sposano con l’ambiente, ma non tutti, si possono trovare anche persone con aspetto obeso e mal vestita. Quasi mai, si vedono femminucce non curate. Anzi, i colori sgargianti, le minigonne da urlo, perizomi, giarrettiere e acconciature splendenti sono la normalità.
E’ facile però scambiare escort per gente comune o gente comune da escort.
Appena conosco qualcuno o qualcuna, compilo immediatamente una scheda, per catalogarli, potrebbe infatti essere utile quando si rincontra. E’ una feature che uso spesso, infatti la sensazione che dai all’interlocutore, quando ci riparli, è particolare. Lo fai sentire quasi unico per te. Questo fa molto piacere alle donne.
Ovviamente essendo maschietto, l’attenzione verte sulle donne. Quando passano, cerchi rapidamente di capire, in base al nome e al cognome, che le identifica univocamente, di che nazionalità sono e soprattutto se parlano una delle mie lingue conosciute, italiano, inglese, francese, un attimo di tedesco e spagnolo.
Quella sera, un membro della famiglia Choice, si aggirava baldanzosa e senza meta nello slargo tra le panchine e lo stand della Mondatori. Le scarpe con i tacchi a spillo, le gambe slanciate, i capelli biondi, lunghi, raccolti all’altezza delle tempie da due fili, (sempre di capelli), che orizzontalmente partivano dalla frangia davanti per terminare ad una cipolla dietro, occhi da urlo, carnagione chiara, vestito scuro, con maglietta senza eccessivo decolté ma gonna che meritatamente faceva cadere l’attenzione sulle gambe.
Inutile negare, l’attrazione fisica, per tutti, maschi e femmine, è la prima clausola per poter iniziare un dialogo senza essere presentati.
Osai comunque. Il suo nome era Perla.
Rapidamente guardai il suo decolté, i suoi orecchi, le sue dita, e non trovai nessun oggetto ornamentale, collana, orecchino, anello, braccialetto fatto del materiale del suo nome. Ovvero di perle. Cercai nell’inventario in maniera rapida ed efficiente, correttamente suddiviso in aree tematiche, trovai degli orecchini. Non conosco la natura di quest’oggetto se di fiume o di mare, fatto sta che gli dissi “una ragazza con un nome così, non può non avere due orecchini di perle !”. Lei sorrise e accettò il mio regalo, fatto con il cuore. Senza dargli possibilità di replicare, gli regalai anche una rosa rossa, inappropriata per il linguaggio dei fiori, ma era l’unico fiore che avevo a disposizione. Incominciammo a parlare, malgrado, un altro personaggio, non era troppo contento della mia intrusione.
Incominciai a fare delle domande classiche da quelle parti, nel frattempo prendevo appunti per riempire la sua scheda. Dopotutto la mia presenza da queste parti è di fare la maggior parte di Public Relation per l’attività che dovremo aprire a breve, nelle immediate vicinanze delle Cinque Terre.
Infatti, nelle inaugurazioni, più persone ci sono e più ovviamente, si ha la possibilità di farsi conoscere con il passaparola.
Gli chiesi di includerla nella lista delle amicizie. Accettò cordialmente. Dopo un rapido saluto, con un arrivederci, ci congedammo entrambi. Iniziò uno scambio di messaggi e di saluti, non ultimo, da parte mia di cedere il posto di una delle tante panchine. Iniziammo un dialogo formale, scherzoso. Ci studiavamo. (segue)

La pesca Galeotta Parte 5

Il loro biglietto con data 11 si riferiva alla partenza da Kerkira e non da Patrasso. Ovvero la nave che stavano perdendo era quella che avrebbe dovuto portarle in Italia il giorno dopo. Infatti le tappe della nave erano le stesse dell’andata, solo al contrario: Patrasso, Igoumenitsa, Kerkira. Informatesi immediatamente se il giorno dopo ci fosse una nave, il comandante della nostra ci disse che l’unica che le avrebbe potute portare in Italia era una della Hellenic. Anna aveva paura della compagnia Hellenic, anche perchè un mese prima una era andata a fuoco. Si fidava solo di compagnie Italiane. Saltarono in macchina come delle gazzelle, per tornare all’Hotel, prendere le valige, la Lina e l’Annamaria e tornare per imbarcarsi con noi.
Nel frattempo, costernati e agitati, pregammo letteralmente comandante e hostess di ritardare la partenza, per dar modo a loro di imbarcarsi. Il comandante, gentilissimo e degno di rispetto, ci concesse 15 minuti ritardando quindi la partenza di altrettanti minuti.
Il traffico di Patrasso fu tiranno. Non fecero in tempo. Il comandante affranto, non poté che far chiudere il ponte di imbarco auto e far mollare gli ormeggi.
Mentre la nave si allontanava orizzontalmente dal porto, vedemmo la Fiesta rossa arrivare. Lina scese e correndo incominciò a gridare a squarciagola: ‘Guidooooo non mi lasciareeeeee’. La mia risposta a questa sua inaspettata reazione, fu quella, incoscientemente, di scavalcare la ringhiera per tuffarmi in acqua e raggiungerla, per fortuna Marco mi placcò dicendomi ‘arrovai ! statte accà, statte quieto, cercamm de nun fa strunzate’. Marco non parla mai in partenopeo se non quando deve dire una cosa serissima o spiritosissima. Le luci del porto si allontanavano inesorabilmente e il grido di Lina ripetutosi per almeno 50 volte, ormai giungeva ovattato. Non seppi mai se lo faceva perché il 12 doveva andare a lavorare in Lombardia, e quindi sperava in un mio miracolo, o perché effettivamente qualcosa di tenero era scattato nel suo cuore. Alla mia reazione, del quasi tuffo, Nello capì che io, Guido, era innamorato di un’altra donna e non più di sua sorella. Non proferì più parola per tutto il viaggio.
Ci fumammo una sigaretta tutti insieme, discutemmo un po’ sulla vacanza e io ancora più affranto, me ne andai a dormire.
Le salentine non erano stupide, io lo sapevo, dentro di me dissi, ‘La prossima tappa è Igoumenitsa, se trovano un traghetto che le porta dalla parte opposto del Peloponneso, attraversano il mare e incominciano a viaggiare di buona andatura, domani alle 7, si imbarcano su questa nave!’.
Mi sistemai nella cabina, mantenemmo le ‘configurazioni’ del viaggio di andata, gettai uno sguardo al lavandino nella stanza. Il viaggio sarebbe stato tranquillo dal punto di vista climatico, più tumultuoso dell’andata come stato d’animo, ma, malgrado ciò, mi misi a cercare l’hostess.
La trovai facilmente, il suo turno sarebbe terminato all’una di notte.
Parlammo tutti insieme della vacanza, tristi perché in vacanza si sta sempre bene ed è sempre corta. Gli impegni lavorativi, certamente non pesanti, non dovevano comunque essere disattesi. Un’ora dopo la mezzanotte, puntualmente mi incontrai con la hostess, si dimostrò affabile e simpatica, un pochino larga di fianchi, ma non troppo, ma aveva due occhi verdi smeraldo che non potevi non fissare. Parlammo della nostra vita, di quello che facevamo, se eravamo ‘impegnati’ e quant’altro. L’orario tardo, il viaggio alle spalle, quello che ci aspettava da Brindisi a Roma, furono elementi che non mi permisero di stare con lei tutta la notte. Scambiati i numeri del telefono, ci congedammo quasi come due vecchi amici. Mi sono dimenticato il nome, ma non il colore dei suoi occhi.
Dormii profondamente e alle 7:30 dell’11 ottobre mi svegliai di soprassalto con il rumore del ponte auto che veniva calato sulla banchina. Mi vestii di corsa, una sciacquata al viso rapidissima, e mi diressi a passo svelto verso la poppa della nave per vedere se la Fiesta rossa era lì in attesa per l’imbarco.
Guardai a di sotto, a destra, a sinistra, scrutai l’orizzonte. Nessuna traccia, nessuna auto rossa, niente di niente.
Pur non avendo fatto colazione, mi accesi la prima sigaretta della giornata, l’aria frizzante, il sole filtrato ancora dalle montagne circostanti, rendevano il mio stato d’animo, meno tormentato. Non mi capacitavo ancora di non averle trovate, di non aver rivisto ancora una volta Lina, con il suo radioso sorriso, la sua pelle abbronzata, la sua capigliatura leonina, schiarita ancor di più dai raggi solari che ci avevano interminabilmente accompagnato per tutta la vacanza.
Terminata la sigaretta, decisi, di prolungare il piacere momentaneo facendo la strada più lunga per ritornare in cabina. L’aria mi stava regalando degli attimi inaspettati di benessere prima, del viaggio di sette ore, che poteva essere noioso e stancante, sia per lo stato d’animo, sia perché su un traghetto, non c’e’ quasi mai nulla da fare. Anche l’hostess, mi avrebbe lasciato da li a breve, sarebbe sbarcata a Kerkira poco dopo.
Qualche secondo per orizzontarmi, intrapresi il corridoio scialuppe dove un’enorme porta automatica a vetri, mi avrebbe aperto la via per la cabina, che era da riassettare e da sgomberare prima delle dieci. A testa bassa e comunque distratto, vidi la porta scorrevole aprirsi davanti a me. Dalla parte opposta della vetrata c’era Lina, sorridente come non mai, che mi abbracciò e mi disse che viaggiarono tutta la notte per raggiungere il porto. Non avevo visto la loro auto, perché erano state le prime ad entrare.
Salutato i rimanenti membri del gruppo salentino, ‘catturai’ Lina e la portai sul ponte superiore dove iniziò un interminabile dialogo di 7 ore approfondito sulle nostre vite, senza segreti, senza remore senza filtri o inibizioni. Parlammo di tutto, dalle rispettive famiglie alle ex ‘compagnie’, dalla droga alle vacanze, dall’estetica all’astronomia, dal sesso alla religione, dalla cucina all’elettronica, discutemmo su tutto e di tutto due libri aperti sulle nostre vite.
Sentimmo entrambi il bisogno di andare in bagno una sola volta, non quello di mangiare, e di bere, parlando ininterrottamente, le sette ore volarono per entrambi.
Una cosa non mi chiarì, se la corsa sul molo gridando il mio nome, l’avesse fatto per farmi fare un tentativo disperato di fermare la nave o perché realmente gli dispiacesse di lasciarmi.
Arrivammo a Brindisi, scesi dalla nave mi diressi verso un bar per acquistare dei cioccolatini e per trovare un fiore da regalargli. Solo la cioccolata trovai, dopotutto era anche il giorno del suo compleanno.
Era arrivato veramente il momento di salutarci e con le lacrime agli occhi gli sussurrai ad un orecchio: Dammi tempo un mese per sistemare con la mia ragazza, poi ti vengo a prendere e ti porto da me.
Era scettica, pensava che non sarebbe stato cosi. Fugai ogni suo dubbio e la raggiunsi esattamente dopo un mese a San Benedetto del Tronto, dove lei insegnava per qualche giorno, estetica ad un gruppo di estetiste.
Dopo un anno e mezzo, esattamente il giorno che l’italiaparenti e amici festeggiavano noi, di sera all’Hotel Hyencos nelle vicinanze di Ugento. Quel giorno, Lina, divenne mia moglie. (fine)

La pesca Galeotta Parte 4

Dimitri personaggio piacente, parlava incredibilmente italiano e ci faceva mangiare con pochi soldi, tanto alla fine di giustificare la spesa in sole vezzosità tipo formaggi per qualcuno, salamini per qualcun altro e molta innegabile Nutella per uno solo di noi. Il Dimitri, come ricordo, era il cuoco, il cameriere, l’uomo dei vini. Ovvero il factotum del ristorante. Giustificava la mancanza di personale, (come che a noi desse fastidio), a causa della stagione ormai terminata. Spesso e volentieri, dopo cena, si metteva seduto accanto a noi e ci raccontava storie e aneddoti del posto. Purtroppo frugando nella mia mente, non ne trovo traccia. In effetti, la mia attenzione ormai era interamente catturata dalla salentina ormai abbronzantissima. Ricordo il particolare che Dimitri ormai, da vecchio conoscitore di turisti, spingeva sia lei che me a stare seduti accanto ed eravamo sempre i primi ad essere serviti. Il volpone consapevolmente, ogni volta mi spianava la strada e lo sguardo verso il Nello mi diceva che avevo via libera.
Molteplici scherzi caratterizzarono quella vacanza si tra il nostro gruppo che fra quello nostro e quello salentino. Lo scherzo della murena fu il più audace, infatti coricai la murena vicino la testa di Lina mentre dormiva e svegliandola di sobbalzo, si vide la faccia del serpente marino davanti i suoi occhi, si alzo di almeno 10 cm per lo spavento. Ovviamente, rassegnati, le canne da pesca servivano ormai per pescare dal piano di sopra ogni tipo di indumenti femminili stesi ad asciugare al sole.
Due incontri subacquei particolari, comunque ci furono. Il primo, che poi divenne compagno di vacanza, con un barracuda solitario, con un aspetto inquietante, ma non troppo visto che non era in branco. Il secondo con la murena assassina che voleva azzannare Marco.
Il signor barracuda, abbastanza grande, era l’abitante più illustre di quella baia, si aggirava indisturbato e consapevole delle nostre innocue intenzioni. Infatti sembrava sorridesse, dall’alto della sua incredibile velocità, quando qualcuno di noi provava a puntare una delle armi più cattive della nostra armeria, il fucile ad elastico da 120 cm con mulinello incorporato per la sagola della fiocina, riusciva ad spostarsi dalla parte opposta come ci avesse letto nella mente. Ci convincemmo che lo faceva veramente. Questo barracuda aveva il dono di sparire e riapparire in un batter d’occhio. Lo vedevi alla tua destra, sbattevi le palpebre nel fisiologico modo, stava già alla tua sinistra. Probabilmente era il guardiano del posto. Il suo occhio vitreo che guarda in ogni dove, meritava rispetto, tanto che ormai lo salutavamo quasi sempre ad ogni nostra immersione. Se non lo vedevamo, ci dispiaceva. Qualcuno di noi, ed anche io, eravamo consapevoli però che lui ci stesse osservando comunque. Non abbiamo mai azzardato a ‘tirargli’ anche perchè se lo mancavamo, avrebbe potuto chiamare i suoi amici e non ci sembrava carino essere il loro pranzo.
La murena assassina, probabile titolo di un film trash degli anni 70, era veramente cattiva. Dico era perché venne uccisa ma non troppo. Fu combattiva fino alla fine e anche su la spiaggia fu dura a morire. La vicenda della murena, scosse tutti quanti infatti, mentre eravamo a fare snorkling Marco davanti a noi, si affacciava, stando sottacqua, ad una scogliera piena di alghe, anemoni e ogni tipo di flora marina. Con la sua solita flemma, fece l’immersione perché attratto da un movimento nelle vicinanze di uno scoglio sommerso, ad una distanza di due o tre metri dalla parete rocciosa. La murena, infastidita, si staccò dalla tarpea rupe sottomarina e con fare inquietante si diresse verso il polpaccio di Marco. Nulla potevamo fare con le nostre armi ad elastico, potevamo rischiare di colpire il pesce Marco. Se la sbrigò egregiamente da solo. Incredibilmente come Clint Eastwood nel migliore dei film western, Marco estrasse la pistola di 30 centimetri ad aria compressa, equipaggiata con un tridente. Per sicurezza, per esperienza, non ultimo perché è un pescatore da scoglio, Submariner, portava sempre, questa pistola al polpaccio opposto a quello adocchiato dalla murena. Senza nemmeno prendere la mira, ruotando su se stesso, sparò senza esitazione colpendola alla gola, la quale con energia, incominciò a scodare. Un applauso subacqueo si levò all’unisono, o meglio, in silenzio, ci aspettavamo tutti che soffiasse sulla canna della pistoletta.
Venimmo poi a sapere che Marco la murena l’aveva vista e dall’alto della sua esperienza la stava ‘tracciando’ con la coda dell’occhio. Fu l’evento della giornata e via, tutti giù a farsi le foto con la preda ormai morente. Anche le salentine, accorsero e acclamarono con entusiasmo, un poco amplificato, la cattura della preda. Spesso si poteva ascoltare qualche commento ironico nei nostri confronti relativamente alla poca pesca. Nemmeno eravamo amici a momenti, già pretendevano che gli portavamo da mangiare a casa ;) eheheh.
I rapporti con Lina erano ormai abbastanza stretti, malgrado le avances fossero da parte mia fossero ormai pressanti, ne un effusione sentimentale, ne una confidenza sottovoce stavano caratterizzando il nostro poco remunerativo rapporto. I scherzetti infantili tra di noi venivano regolarmente effettuati, ma non presagivano una conoscenza ‘approfondita’ o qualcosa che potesse essere preludio e risoluzione di una particolare voglia.
Verso il tramonto, era solita fare delle passeggiate alla quali, prontamente mi offrivo di accompagnarla. Qualche corsetta era annoverata, ma forse più per farsi vedere atletica che per reale necessità.
La vacanza ormai volgeva al termine. In un tempo variabile di dodici, ventiquattro ore, ma prossimo, alle grandi partenze sia per andare o tornare dalle vacanze, mi prende, solitamente, una tristezza e nervosismo, che ormai, ma solo da qualche anno, riesco a controllare. Il cervello inizia a pensare alla preparazione dei bagagli, al viaggio, allo strapazzo dello scaricare l’auto, accompagnare o prendere eventuali compagni di viaggio, lo chiamo stress ante partenza. Stavolta questo stress sopraggiunse inaspettatamente con grande anticipo. Il pomeriggio dell’ultimo giorno di permanenza a Kardamili andammo a prenotare per tempo la cena, in modo da poter permettere al Dimitri di prepararci una cena abbondante, degna di un arrivederci a data da destinarsi. Rassicurandoci caldamente, ci disse di non preoccuparci ne sul contenuto, ne sul costo. Dopotutto l’inaspettato prolungamento di stagione, lo aveva entusiasmato, era diciamo, diventato un esterno del gruppo.
Il calar della sera, venne veramente presto. Il momento dei miei famosi ripensamenti, dei ‘se’ era arrivato. Non avevo, concluso nulla, avevo forse sbagliato tattica, ero stato troppo irruento, l’avevo pressata troppo? Avrei dovuto fare di più? Queste furono le mie domande prima di raccoglierci tutti quanti intorno ad una tavola imbandita di antipasti di mare. Di tempo per riflettere sulle strategie, rivelatesi errate, ne avevo avuto, infatti, mentre preparavo le mie valige, pulivo l’attrezzatura e caricavo l’auto, ero assorto in questa sorta di pensieri.
L’indomani sera, la nave per lo stivale, sarebbe partita da Patrasso con un passeggero triste e sconsolato.
La cena fu spettacolare, non di meno le prestazioni di tutti noi, chi scherzava e chi rideva, chi mangiava, chi stava bevendo come spugne. Vuoi per il vino, vuoi per l’atmosfera gioiosa che si era creata, non so come, raccontai barzellette ininterrottamente dalle ventitre alle due di notte. Non ricordo quante fossero, mi dissero più di duecento. Non ricordavo o meglio non sapevo di riuscire a ottenere una simile performance. Salutammo Dimitri, con la promessa di rivederci.La serata, o meglio la notte, grazie agli effluvi dell’alcool non mi diede a pensare troppo. La mattina partimmo subito dopo la colazione. Il commiato dai greci, fu educato e formale. Il viaggio di avvicinamento a Patrasso fu silenzioso e pensieroso per tutti, l’avvicinamento alla realtà lavorativa, incominciava a farsi sentire. Io guidavo il BMW silenziosamente e con un rimorso ancor più pesante visto che mi sarebbe piaciuto sentire una frase impossibile: ‘Guido… ti dispiace se vengo con te in macchina?’. Ciò, ovviamente, non avvenne. Arrivammo a Patrasso di sera, avevamo circa tre ore di anticipo sulle operazioni di imbarco. Qui ci saremmo dovuti dividere, infatti loro, avevano un biglietto con data partenza 11 Ottobre e non 10 come il nostro. Ci adoperammo tutti a trovare una sistemazione per le donne salentine. Trovammo un Hotel a circa cinque Km dal porto. La decisione di Lina di rimanere in Hotel, invece di venirci a dare un ultimo saluto al porto, come aveva scelto la leader e l’infermiera, mi lasciò di stucco. Ormai rassegnato la salutai e ci dirigemmo all’imbarco. Ci fermammo al tabaccaio per acquistare un congruo numero di pacchetti. Non mi azzardai a dire prendiamole sulla nave, ma lo avevo, malgrado tutto pensato. Provvidenziale fu l’anticipo, un traffico eccezionale, ci fece arrivare con un leggero ritardo rispetto al primo imbarco, (sono quelli che escono per primi solitamente), quindi imbarcammo le auto e rimanemmo sul pontile a chiacchierare tra di noi e le due superstiti. La partenza era ormai prossima, e una hostess della nave, piuttosto carina fece un incauto, (per lei), apprezzamento alle mie gambe. Il vuoto lasciato dalla salentina, senza cuore, fu per un attimo colmato da questa affermazione. Nel frattempo, mentre allaccio i rapporti di fratellanza e amicizia con la suddetta pipetta, niente male a dire il vero, qualcuno ci disse che era ora di partire. All’unisono un urlo inquietante di Anna e di Maria, catturò la nostra attenzione, più dell’imminente imbarco. (segue)

La pesca Galeotta Parte 3

Appena parcheggiate le auto, il Maurizio, si preoccupò immediatamente di mettere la sua sotto una tettoia in pagliericcio, anche e soprattutto per ripararla da eventuali cadute di resina dagli alberi. Rassicuratosi grazie al portiere della pensione, sull’incidenza dei furti d’auto della Grecia e soprattutto di quella località, prendemmo possesso delle chiavi delle rispettive camere.
Il gruppo della Fiesta dimenticò la chiave all’interno della stanza e il portiere non aveva il duplicato. Le stanze erano collegate da condotti dell’aria climatizzata, non presente, perché ancora in costruzione. Per fare l’eroe prontamente mi offrii per raggiungere la loro stanza dai suddetti cunicoli e aprire dall’interno la porta. Tra calcinacci, chiodi e piccoli abitanti degli incavi nel cemento armato, ci riuscii con un savoirfaire tale da attirare nuovamente l’attenzione e guadagnarmi, almeno in parte, ma anche immeritatamente la qualifica di leader del gruppo. Ormai riuscivo a catturare fuggevoli sguardi da parte della donna in bianco, che ormai aveva pantaloncini bianchi e maglietta bianca con sopra una giacchetta tra il marrone e il viola. Malgrado non sia daltonico, non conosco benissimo tutti i nomi dei colori. Mi fermo all’arcobaleno.
Cenammo spensieratamente, tra dialoghi conoscitivi e simpatici sorrisi. Ovviamente il mio sguardo insisteva, educatamente all’indirizzo della donna Lina, la quale sembrava non curante delle mie attenzioni. Forte del proverbio <>, il suo atteggiamento, non funzionò da deterrente.
Pianificammo l’itinerario stradale e dopo il classico commiato, andammo a letto. La dormita fu globalmente profonda e corroborante, la mattina ci alzammo come dei squali affamati pronti ad azzannare qualsiasi cosa di commestibile ci si presentasse davanti.
Il barista non immaginava nemmeno con chi aveva a che fare. Spazzolammo l’intera scorta di croissant e caffelatte. Finalmente, aspettando come al solito le donne ritardatarie, ci rimettemmo in viaggio. L’ atteggiamento vacanziero e festoso aveva la sua manifestazione con smorfie di ogni tipo dai finestrini, sorpassi azzardati per la strada non conosciuta, occhiolini e sorrisi da parte di tutti e due i gruppi. Innegabilmente un feeling si era instaurato. Arrivammo verso le 16 del 5 Ottobre alla tanto sospirata località a sud di Kalamata. Ci ricevette un distinto signore greco con uno stentato inglese, il quale a gesti, data la nostra preparazione e la sua preparazione, non troppo accademica, dell’inglese parlato, ci spiegò come erano le loro camere (poi rivelatesi appartamenti comodissimi). La cosa che ci colpì in maniera indelebile, fu l’arrivo del figlio del signore greco. Ci parlò con un inglese Oxfordiano e volle assolutamente offrirci il tè alle 17 esatte.
Gli appartamenti in riva al mare di nuovissima fattura, dipinti di fresco e curatissimi nei minimi particolari, furono occupati con entusiasmo da parte di tutti. Optammo per il piano di sopra noi, e sotto il gruppo salentino.
Appena accomodati, infervorati dal luogo e dal reale inizio della vacanza, andammo baldanzosi a fare il sopralluogo per l’immersione di pesca che, a presta ora, sarebbe avvenuta l’indomani mattina.
Arrivammo sulla spiaggia di sassi, trovammo immediatamente il posto per poter stabilire la base. Dove pianificare gli attacchi alla ignare creature acquatiche. La base sarebbe stata comoda anche sotto il sole cocente. Infatti, la vegetazione circostante folta, ci permetteva di stendere il telo per ripararci dal sole e non ultimo gli stenditoi naturali per fare asciugare mute e asciugamani. Anche il posto del gommone di Giuseppe era adatto. Rapido nel metterlo in acqua, veloce a ritirarlo. L’unica raccomandazione che il lord inglese ci aveva fatto era di rimuovere via il motore ogni giorno. Il motore lo potevano rubare. Ciò mise in allerta Maurizio che subito, in stentatissimo inglese, chiese se anche il suo bolide a quattro ruote fosse potuto essere oggetto di altrui desiderio. (ah dimenticavo, l’auto, rigorosamente parcheggiata, era stata tappezzata dall’interno da scudi termici, che rimanevano nella corretta posizione grazie alle alette parasole, riflettenti e tendine posticce che potevano salvare la tappezzeria dal sole terzo, non ultimo, l’asciugamano sul volante, per evitare screpolature della plastica).

Per rendere l’idea delle nostre intenzioni, non posso esimermi dal descrivere l’Attrezzatura.
L’attrezzatura di pesca in dotazione era veramente impressionante. Se qualcuno ci avesse voluto giudicare guardando i nostri ‘averi’, si sarebbe convinto che eravamo incroci tra Superman, Submariner, uomini rana, 007, Seals, Batman e Uomo Ragno. Si sarebbero rassegnati a non pescare più nulla per i prossimi cinquant’anni. Saremmo stati additati quali gli Attila dei sette mari. Anche i pesci, se avessero potuto vedere la tipologia di armamenti in nostro possesso, si sarebbero gettati, come arditi eroi di altri tempi, per salvare i loro figli, sui nostri retini e panieri senza proferire lamento, movimento, pur di non subire le atroci sofferenze che simili avveniristici mezzi potevano infliggere. Le mute rigorosamente Artiche e Antartiche per lunghissime immersioni. Pinne professionali che garantivano un’accelerazione vertiginosa e costante pari ad un 16 valvole turbo in mezzo al mare. Coltelli da posizionarsi sulle caviglie, più simili a macheti e sciabole. Fucili di tutti i tipi, lunghezze a molla 30, 40, 50, 70 cm, stesse misure per quelli ad aria compressa e sopratutto ad elastico da 80, 100, 120 cm rigorosamente di marca Omer, con mulinelli incorporati, <> quindi non si spaventa. Inutile dire che i fucili erano anche di colori differenti per potersi intonare con le mute rosse, blu, nere, leopardate e militari. (d’altronde una muta sempre abito da indossare è… ci vuole eleganza). Tridenti, fiocine e Kit di sopravvivenza, starlight e lampade da immersione, fari alogeni. Maschere graduate, boccagli auto sigillanti, occhialini siliconici, cavigliere con pesi e cinte con piombi sia per profondità sia per mantenere neutre le mute. Degne di nota anche le canne da pesca. Franchi da sette metri e cinquanta, canne al carbonio da lancio e da punta e da traina. Ami, milioni di ami, galleggianti colorati, a piuma, di plastica, sughero, polistirolo. Ancorotti, ami, bave, (fili da pesca), di tutti le misure, pesi e colori. Terminali in acciaio per Squali, Ricciòle, Pesce Serra e Barracuda. Eravamo un reggimento pronto a depauperare la fauna ittica. Una cosa ci mancava, l’esplosivo e chi sapesse usarlo. Se ci avessero visto dei non pescatori, avrebbero pensato che la sporca dozzina (malgrado fossimo in 7), di chissà quale stato, stesse invadendo il Peloponneso da sud.

Un breve cenno su attitudini e inettitudini del gruppo è doveroso per capire come la combriccola fosse eterogenea e omogenea nel contempo.
Maurizio, abile sistemista programmatore, a parte la paranoia della automobile perfetta, pulita, sempre tagliandi, profumata, lucidata, incerata, asettica, ha sempre la battuta pronta. Essendo non fumatore, atletico e ben piazzato, aveva un apnea quasi impossibile da superare. Non per Marco, semi partenopeo, programmatore e operatore di sistemi Mainframe, nativo di una delle più belle isole italiane, le Pontine. Coltissimo e tranquillo, quasi laureato in Agraria, grande fumatore e bevitore di decilitri di caffè, aveva un’abilità e tranquillità in apnea da far invidia a tutti. Era uno spettacolo vederlo sott’acqua. Il suo colpo di pinna, lento ma deciso, gli faceva raggiungere i dieci metri in un baleno, il fatto che raggiunta la profondità, continuava a nuotare cercando in anfratti scogliosi come se stesse respirando ossigeno. Era il più saggio del gruppo, il mio migliore ex amico. Nello, fratello della mia ex ragazza, attuale a quel tempo, era il ‘ragazzino’ del gruppo. La sua spensieratezza e incoscienza giovanile, effettivamente un poco ci trasportava, e un poco era invidiata. Eccitato dalla sua prima uscita all’estero, e per giunta senza genitori era partenopeo DOC come detto prima, aveva anche atteggiamenti eccessivamente menefreghisti, osava troppo con la confidenza, ma era giovane e quindi scusato. Rendeva le cose difficili sempre semplici. Anche il procacciare nel supermercato del luogo spesso e volentieri diventava più una spesa ‘proletaria’ che reale. Fumava molto, questo lo ricordo bene, Marlboro rosse.
Il Giuseppe, personaggio scansafatiche, abile cultore nel evitare qualsiasi tipo di lavoro. Anche domestico, tipo pulire il bagno, rifarsi il letto, o cucinare. Leggermente parsimonioso, al pari di Maurizio. Era un abile controllore di scontrini degli empori e negozi, (visti comunque di rado), e grazie a Nello i conti non tornavano. Avevamo sempre più roba rispetto a quella indicata nei fiscali pezzi di carta. Giuseppe malgrado la sua forma rotondeggiante, paventava una conoscenza, sempre superficiale o per sentito dire, sulle esche per ami, ma anche lui quanto ad apnea e resistenza, non era terzo a nessuno. Grande difetto, gli piaceva pescare ma odiava il sapore del pesce, malgrado non lo avesse mai, dico mai, assaggiato.
Il Fabio è tuttora una delle persone più buone di questo mondo. La saggezza era inesistente, anche lui spensierato, proveniente da un paesino intorno a Roma, vedeva la realtà, per carità nota ad i suoi occhi, leggermente differente da noi. Non esitava a bevicchiare qualcosa anche a mezza mattina. La sera quasi sempre brillo, era oggetto di qualche scherzo. Dopo ne racconterò uno in particolare. Il Fabio, alla prima esperienza di pesca a mare, ma non estera infatti per tutta la vacanza ci decantava le qualità della Spagna con le sue attrattive femminili e in particolare di Benidorm. Abile lavoratore, programmatore, era la persona che si offriva sempre a fare tutto, con la sua ‘marlborella light’ in bocca e l’occhio socchiuso a causa del fumo della sigaretta, poteva pulire, cucinare, nuotare e soprattutto con il bicchiere in mano di rum, whisky, tequila, o qualcosa che superasse i quaranta gradi, anche ballare con la movenza dell’Airone. Si, era di moda un ballo House con una musica martellante che si doveva ballare con le braccia a crocefisso e girare intorno a tutta la stanza, casa, scale. Avevo paura che prima o poi volasse davvero.
Massimo prolisso personaggio, analitico e dalla favella catturante aveva più problemi di Giuseppe nel cibo. Mentre Giuseppe aborriva frutta, verdura, pesce, aglio, prezzemolo, basilico e semi di pomodoro, ma non patatine e carne. Massimo odiava anche i formaggi, il pesce con le spine, gli hamburger grassi, le verdure in genere ma non la Nutella e la frutta. Mangiatore di un barattolo al giorno del cremoso cioccolato, senza gli immancabili effetti collaterali. Anche lui alla prima esperienza di pesca con il gruppo, si rivelò un cauto esploratori di fondali, più attratto dai paesaggi e dalla flora e fauna ittica, che dalla cattura del pesce.
Io, Guido, programmatore di computer, poliedricamente adattabile, mi cimentavo nella cucina, nelle pulizie, nelle cose pratiche che, sopratutto Giuseppe scansava, Una cosa che mi fu tassativamente interdetta era il non fare la spesa, infatti, a causa della facile attitudine all’acquisto, questa poteva rivelarsi più un lato negativo e positivo, essendoci con noi amici non troppo abituati a spendere. Un’altra cosa che non sopportavo e non sopporto era il disordine, sia di Nello che di Marco. Malgrado ciò non si è mai arrivati alla discussione. Medio basso personaggio in apnea, sia per il sintomatico disprezzo di ogni attività fisica e soprattutto abile fumatore di sigarette, la vacanza la considerai molto più come svago che come attività di pescaggio vera e propria. E non stavo disprezzando la possibilità di catturare un pesce femmina nella mia rete. Malgrado la presenza di Nello, che era un deterrente, ma confidando poi nella sua solidarietà maschile.

Il gruppo delle donne, conosciuto poi molto bene, era composto dalla leader Anna parrucchiera affermata nella sua terra, la sorella Lina estetista, Annamaria, dipendente di Anna, Maria saggia infermiera simpatica e intelligentissima. Il loro gruppo, a dir il vero, autonomo, ci raggiungeva in tarda mattinata, quando noi, avevamo fatto ben più di una immersione. Assistevo ormai al rito della distribuzione sul corpo della crema da parte della fatina che ormai avevo più che adocchiato. Gambe flessuose e magre fin sopra le ginocchia, Quadricipiti a dir il vero, sovradimensionati, fisico asciutto, petto, viso bocca bellissimi, il posteriore leggermente grande. Si spalmava la crema con atteggiamento vezzoso ma non vanitoso, con pochi sguardi in giro e concentrata soprattutto sulla riuscita dell’operazione. Si vedeva che non voleva lasciare nessun millimetro quadrato scoperto dall’olio abbronzante. Come al solito la sfiga volle, per noi maschietti, che nessuno di loro amava prendere il sole in topless. Ricordo come fosse oggi quando usciva dall’acqua, mi veniva spesso in mente una canzone che sentivo cantare dalla mia mamma, di Fred Bongusto.
A breve termine, iniziarono le operazioni di pesca, due pescetti, murene, polipi ma nulla che giustificasse tutto l’armamentario che avevamo, insomma, non abbiamo mai praticamente fatto una enorme mangiata di pesce se non al ristorantino di un certo Dimitri. (segue)

La pesca Galeotta Parte 2

Con un poco di inquietudine, mal celata, di tutti quanti, ci dirigiamo verso il gruppo salentino, per salutarlo, e per rincalzare in parte la dose, di venire a passare la vacanza con noi. I rispettivi alloggi notturni ci attendevano. Ricordo vagamente il disagio di non aver preso cabine con il bagno, ma solo con un lavandino.
La cabina era stretta, con un odore particolare, forse di vernice fresca o di qualche deodorante, messo lì per rendere l’ambiente più accogliente. La sistemazione fu così decisa: Guido, Nello un'altra Marco, Giuseppe, Massimo ed infine Maurizio,Francesco.

Finalmente a letto.

I sussulti e il rumore della nave, aumentavano nel corso delle ore notturne. Lo sbattere della prua sulle onde si faceva sempre più ripetitivo, mentre il fragore disturbava in maniera insopportabile il poco sonno che già, a quel tempo, mancava.
Ricordo chiaramente l’espressione di nausea di uno di noi, e doveva essere sintomo comune, dato che il puzzo acre di qualche sventurato, si faceva ormai largo, coprendo il deodorantino o l’odore della vernice della nave.

Non tutti i mali vengono per nuocere.

La mattina, non tardò ad arrivare. Sicuramente intontiti dal poco sonno, ci rechiamo negli squallidi bagni per sistemarci un po’ con occhi. Erano impraticabili, era il quartiere generale dei succhi gastrici emessi da sfortunatissimi e deboli di stomaco, passeggeri dell’arca della speranza.. Come ero entrato, con un abile e rapido dietrofront mi riavvio verso la nostra cabina, e ringraziai qualcuno per averci dato un lavandino in cabina. Dove, seppi in seguito, Nello aveva abbondantemente urinato a causa dell’impraticabilità appena detta dei bagni comuni.

Certo non proprio felici, ed incuriositi, un drappello di noi, o meglio, chi non aveva accusato il colpo nauseabondo, si recò sul ponte per vedere il mare.

INCAZZATISSIMO MARE, abbiamo letto sui giornali poi, che praticamente ciò che stavamo vedendo, era una autentica tempesta nell’adriatico. La nave con i sventurati ormai non fumatori, (a dir il vero nemmeno io avevo voglia di fumare), era diventata un’inquietante oggettino galleggiante, circondato da onde alte che spazzavano, senza problemi il ponte di prua e non di rado il secondo ponte a circa cinque o sei metri più in alto.
Intimoriti ma anche affascinati da questo fragore, spruzzi bianchi, profumo appiccicoso di salsedine, giocavamo come dei bambini. Il gioco consisteva nell’aspettare l’onda più alta per poi abbassarci prontamente facendoci scudo con la ‘ringhiera’ (chiusa) di questo secondo ponte. Il divertimento più grande venne appena arrivò Maurizio, il più alto, un metro e novantacinque, il quale ignaro ci vide ridere come dei cretini. Ben presto arrivò un'altra onda, forse delle più alte. Prontamente sgarzelloni (pratici), ci abbassammo facendoci scudo, lui rimase interdetto dalla nostra reazione e fu sommerso da capo a piedi da spumeggianti flutti, irrimediabilmente bagnato. A nulla valsero i nostri poco consoni proverbi <> , <>’ . Furioso se ne tornò in cabina e scomparve per almeno due ore. Qualche esponente del gruppo da convincere, si incominciò ad intravedere. La salentina carina, mancava all’appello. Nel frattempo la nave cercava di avvicinarsi al porto di Kerkira. Molta gente si stava preparando e stava raccogliendo la propria roba, compreso il gruppo adocchiato in precedenza ormai al completo. Ricordo la bellezza della ragazza vestita ancora di bianco, senza trucco, con occhini assonnati ma dolci nel contempo. Un’immagine che non dimenticherò mai. Ma il tempo tiranno per loro, svolse un importante aiuto nel convincere il gruppo a seguirci nel nostro luogo di vacanza, descritto ormai come l’eden sulla terra. Infatti i molteplici tentativi per raggiungere il porto di Kerkira , fallirono miseramente. La nave in porto, addirittura a un miglio circa dal porto, non riusciva ad avvicinarsi.
Il ben augurante, (per noi), annuncio dell’altoparlante, avvisava i gentili passeggeri che la nave, fallendo l’attracco, (o meglio l’entrata nel porto), avrebbe fatto scendere i naviganti alla successiva fermata. Igoumenitsa. Qualcosa dentro di me mi rendeva gioioso, ma l’altro aspetto, pessimista, mi faceva pensare all’incredibile forza del mare che non permetteva di fare ciò che noi, esseri umani, volevamo fare. Questo sentimento o impressione di impotenza, un poco mi preoccupava. Stessa sinfonia l’ascoltammo dopo qualche ora davanti al porto della seconda sosta programmata. E mentre prima, il gruppo salentino aveva sperato nel ritorno della nave verso la loro destinazione, credendo in un miglioramento repentino delle condizioni del tempo, ormai si rassegnò a seguirci in qualsiasi posto potevamo garantirgli, essendo diventato un gruppo senza meta. Come d’incanto diventammo simpatici, e la cosa più importante che la tipetta, aveva annuito senza colpo ferire alla scelta maturata dalla sorella e dalle sue amiche, durante una delle sue frequenti assenze.

Arrivammo a Patrasso, dove il mare, sembrò calmarsi. Dopotutto Patrasso è dentro un golfo e il porto, decisamente più grande. Raccogliemmo la roba anche noi. E con l’accordo di essere seguiti, ci dirigemmo verso le auto. Fortunatamente l’alfa 33 di Maurizio non aveva subito nessun schizzo di salsedine (malgrado secondo me, meditava, su una possibile sosta a qualche autogrill per dare una passata di grafite alla sua auto, perché sicuramente era stata attaccata dalla salsedine).
Le tipe, avevano una Fiesta rossa targata Lecce, nuova di fabbrica. Essendo loro in quattro e una di loro molto brutta, decidemmo, riprendendo da un jingle dell’epoca, di prenderle in giro dicendo <>. Le pratiche di sbarco furono effettuate senza grossi problemi, ma durarono molto. Infatti il tempo dei tentativi a Kerkira, Igoumenitsa e le innegabili problematiche che molti passeggeri avevano sollevato con la direzione della nave, fecero sommare circa sette ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Un lato positivo ci fu, eravamo quasi certi che smettere di fumare era possibile visto che solo uno di noi era in vera astinenza da nicotina. Marco.

Ci incamminammo con le nostre auto, per raggiungere la ormai tanto ambita meta. Ci fermammo a comprare circa una decina di stecche di sigarette complessivamente. Il paesaggio intervallato da strutture basse di calce, piante filiformi sul ciglio della strada color oro, il cielo ormai terzo, e la gioia di avere delle donne al seguito, di cui una molto interessante per me, rendeva il ritorno in questa terra, veramente differente, mi dava una sensazione di tranquillità e spensieratezza, quasi mai provata, e una innegabile felicità di libertà, che da molto tempo, circa sette anni, che non provavo. Infatti la mia ragazza, rimasta a Napoli, fin troppo gelosa, non mi lasciava troppo spazio e troppe scelte tra lei e le mie amicizie. Il fatto di stare lontano, di avere scuse per non telefonare ogni mezzora, mi rendeva libero da ogni impegno promesso. Nello il fratello della mia ragazza, napoletano DOC, aveva, come tutti, fame. Solo che lui disse coloritamente e metaforicamente, come solo la gente partenopea sa fare: ‘Ueee Uaglio tengh ‘e rane rintro ‘o stommaco c’hamm a ferma’ acca’ ‘e girini se stanno facendo largo tra nu poco m’e ‘mmastico ’ (mi perdonino i conoscitori della lingua scritta). Mangiammo in una trattoria ‘tipica’ greca. Uno di noi, ovvero io, con sottofondo musicale vocale, di tutti quanti, incominciai a mettermi in bella mostra intonando Stornelli Romani che a tanti non di Roma, fanno sbellicare dalle risate. Notavo che la tipa di nome Lina, incominciava a ‘tirarsela’ di meno ed era visibilmente contenta e soprattutto ricreduta della compagnia. Il primo mattone era stato gettato. Anche il pranzo si protrasse un poco troppo infatti ormai erano circa le 17:00 e ci rimettemmo in viaggio. Ben consci che la notte, ci avrebbe sorpreso prima di arrivare a destinazione. strada facendo, iniziammo la ricerca di un ricovero notturno.
Infatti il pilota della Fiesta al seguito, l’Anna, non amava guidare di notte e quindi ci ‘costrinse’ a fermarci. Trovammo una pensione niente male con delle stanze, ancora in costruzione particolare che si rivelò poi una peculiarità importante. Erano pulite, luminose e sicuramente molto più confortevoli della cabina di una nave. Per la cronaca, prima dell’arrivo nel suddetto posto, il posacenere del BMW, fu svuotato più di tre volte. (segue)

La pesca Galeotta Parte 1

Il racconto è vero, i nomi, inventati.

Nel 1992, all’inizio di ottobre, io ed il solito gruppo di amici di pesca, si decide di partire. Destinazione Grecia, in particolare la città da raggiungere era Kardamili, ridente paesino nelle vicinanze della ben più nota città Kalamata. Questa città si trova all’inizio della protrusione centrale della penisola del Peloponneso.
Come mai questo posto? In questo posto io, la mia ex ragazza, e la mia famiglia, ci eravamo andati alla fine di Agosto, e ritenendo la zona pescosa, ma soprattutto veramente bella, proposi alla solita combriccola di pesca, di raggiungere nuovamente questa località.

All’unisono si decide che la meta è giusta.

Il gruppo alla fine si compone da sette elementi Maurizio, Massimo, Guido, Nello, Giuseppe, Marco, Francesco.
Il 3 ottobre si parte da Roma, BMW 316, strapieno con tutto l’occorrente da pesca subacquea e non dentro la mia macchina, comprese quattro persone, un motore di un gommone da venticinque cavalli e il gommone sgonfiato sopra il portapacchi. Più che un’auto, un veicolo con quattro ruote, appesantito da generosi altoparlanti inscatolati nel marmo, con amplificatori che sembravano testate di motori, più che scatole con componenti elettronici. Il buonissimo odore di nicotina, ormai Alfa 33 illibata con quattro persone a bordo e tre piccolissime misere valigie. OVVIAMENTE rigorosamente NO Smoking Car. Questo perché Massimo teneva, (e tiene) alla sua macchina più di chiunque altro. Pensate che la cappelliera dell’alfa non aveva nemmeno un maglione sopra per paura che si deformasse la struttura in moquette e cartone compresso. Arriviamo a brindisi pronti per l’imbarco. Qui si manifesta il primo errore della vacanza. Io (mea culpa) da sapientone subito intimo a tutti i fumatori, compreso me, di non comprare sigarette. “Sulla nave, appena fuori delle nostre acque”, le sigarette costano di meno… apre il duty free.
Il Duty Free non ha mai aperto. Infatti, la nave, al suo primo viaggio, aveva il magazzino ancora sotto controllo dell’Inventario. Per questo, non c’e’ stato verso di acquistarle.
Ci imbarchiamo con la contentezza in corpo dei bambini che vanno ad una festa. Il collega proprietario dell’Alfa romeo, verifica che lo “stoccaggio” della sua vettura, sia perfetto, privo di pericoli (graffiature, botte, schizzi di grasso, eventuale calcare). Prendiamo possesso delle cabine, sistemiamo le valige e zainetti, con il necessaire per lavarsi l’indomani e tutti pronti per la traversata ci rechiamo sul ponte a vedere le luci del porto di Brindisi, allontanarsi. Nel lieve chiarore delle luci, cumulonembi minacciosi, sembravano volessero scatenare tutta la loro forza da un momento all’altro.
Nel chiacchierare del più e del meno, le sigarette inesorabilmente scendevano. Di sette persone del gruppo “Romano”, cinque sono incalliti fumatori.
La flebile luce del faro del porto di Brindisi era quasi sparita anche alla vista più aguzza, qualcuno di noi, il più giovane di tutti, di corrompere qualcuno del personale per darci un qualcosa che almeno somigliava a nicotina. La serata volse al meglio, ovvero, ci rifocilliamo con i panini del bar di bordo, dopo ogni caffè o snack che caratterizzano quasi tutta la notte, il bisogno delle sigarette diventa sempre più impellente, le poche scorte sono ormai terminate. Crescono gli improperi, nei miei confronti.

Ormai i nostri sguardi, da cacciatori di fumatori, si incrociano nelle sale e sui “corridoi” esterni alla nave. Un’attenzione particolare va verso un gruppetto di tre donne, non belle, di cui una fumatrice. Si chiamava Anna. Iniziamo a fare i cordiali con il gruppo che si rivelò pugliese o meglio salentino, ma il vero obiettivo era carpire con l’inganno un paio di sigarette. Sappiamo in seguito che il gruppo di tre ragazze, non era invece di quattro. L’altra la più bella del gruppo, se la faceva con un altro gruppetto di persone, più grandi di noi dove rideva e scherzava. Era vestita di bianco con una minigonna bianca, capelli biondi lunghi ben acconciati, ricci sulle punte, dandogli un aspetto leonino e una giacchetta jeans bianco con bottoni grigi, scarpe alte con suola e tacco (tutt’uno), di corda. Bianche anche esse. Le gambe abbastanza flessuose e abbronzate, con un filo di trucco che metteva già in risalto, la naturale bellezza. Diciamo che il mio interesse per le sigarette stava scemando in maniera logaritmica e l’attenzione volgeva sempre di più, verso le movenze, la solarità e gli sguardi che la tipa faceva al più grande dell’altro gruppo. Devo essere sincero, dentro di me, mi sono detto “questa è una che se la tira”.
La tipa si sposta dal gruppo, raggiunge noi, fa la proposta ad una delle tre… Si assomigliavano, venimmo a sapere che erano sorelle. La tipa discutendo animatamente con la sorella, mi intrigava sempre di più. La discussione verteva su un possibile cambio di itinerario da parte loro. Infatti, i tipi del gruppo, avevano “gettato l’amo” dicendo che avevano in affitto una villa in una delle isole maggiori della Grecia e che c’era posto per loro. La sorella maggiore, che era ormai stata catturata dalla simpatia del gruppo dei romani, paventava invece la possibilità di venire in vacanza con noi. La discussione animata, non lasciava dubbi. Avrebbe vinto la sorella maggiore pro romani. In quel momento, ho calcato la mano, descrissi, alla maggiore, con dovizia di particolari le caratteristiche del posto dove ci stavamo recando. Il punto era che il gruppo avversario, aveva come destinazione la stessa isola delle pugliesi. Questa si rivelò un aspetto fondamentale e soprattutto bloccante, infatti, avevano prenotato in una struttura a Kerkira prima tappa della nostra nave nuova di pacca e no smoking. Noi saremmo invece scesi sul continente per poi fare almeno altri 330 Km in territorio quasi sconosciuto.
Nel frattempo la salentina più carina, si aggirava per la nave a passeggio, sia per uccidere il tempo e sia veicolata da un’inspiegabile curiosità. Parlando con un inserviente, riuscì a farsi portare, per vedere come era fatta, nella cabina di comando della nave. Con la scusa di chiedergli una sigaretta, la seguo senza farmi notare e la aspetto, per poi, simulare un incontro casuale alla fine della scala che conduceva al comando. Riappare sta fata, che si prodiga in ringraziamenti e inizia a scendere la scaletta verniciata bianca di fresco, che non tradiva il fatto che la nave no smoking fosse nuova. La fermo, gli chiedo una sigaretta, e lei inesorabile “Mi dispiace … non fumo”. Mi presento, si presenta. Gli chiedo da dove veniva, di Lecce disse. Le acque erano ormai rotte, incominciai a fargli domande varie “Dove state andando? ”, “Come mai vacanza in questo periodo ?”. Erano la mia classica serie di domande fatte più per sondare l’attitudine al dialogo, che all’effettivo interesse per le risposte. “Casualmente rientriamo, sobbalzando e beccheggiando, nella sala portandola verso il nostro gruppo, che ovviamente stava parlando con le sue amiche o sorelle. Cercando di essere più carino possibile re inizio a decantare anche a lei della ‘nostra località di arrivo, era la ricetta fondamentale per la riuscita della Loro e della ‘nostra’ vacanza.

Seguendola come un cagnolino, noto che si dirige verso il gruppo dove gli altri romani stavano conversando. Anche loro avevano rotto il ghiaccio. Ci sedemmo e cominciammo ad entrare nel discorso che avevano iniziato. Iniziai dopo aver preso confidenza a raccontare delle barzellette, arma quasi sempre vincente, con sconosciute.

Ormai il beccheggio della nave, si incominciava a farsi notare. Sempre di più. Fu un sobbalzo insolito e violento che fece cadere in terra le poche borse appoggiate sulle poltrone del bar. Incuriositi e qualcuno, visibilmente allarmato, da cosa stesse succedendo ci recammo sul giardinetto di poppa. Le ombre generate dalle flebili luci notturne rendevano la nave di un bagliore spettrale, mentre le condizioni del mare, lasciavano intendere che la notte non sarebbe poi stata così tranquilla. In effetti, il fragore e lo sbattimento delle onde sul nuovo scafo della nave, creavano un fragore cadenzato simile ad un tuono, simile ad un cedimento strutturale.
(segue)

giovedì 5 luglio 2007

Buon Compleanno

Dedicato a te in un attimo... di pugno, di impeto.











Principessa di sogni e parole rurali,
sorrido,
sorridi,
rido,
ridi,
ti arrabbi,
rido

a chi è una stella.

Invidio chi ha stelle negli occhi
e passeggia con la luna in un palmo
e l'orso nell'altro.

Buon Compleanno.... Stellosa.