mercoledì 18 luglio 2007

La pesca Galeotta Parte 3

Appena parcheggiate le auto, il Maurizio, si preoccupò immediatamente di mettere la sua sotto una tettoia in pagliericcio, anche e soprattutto per ripararla da eventuali cadute di resina dagli alberi. Rassicuratosi grazie al portiere della pensione, sull’incidenza dei furti d’auto della Grecia e soprattutto di quella località, prendemmo possesso delle chiavi delle rispettive camere.
Il gruppo della Fiesta dimenticò la chiave all’interno della stanza e il portiere non aveva il duplicato. Le stanze erano collegate da condotti dell’aria climatizzata, non presente, perché ancora in costruzione. Per fare l’eroe prontamente mi offrii per raggiungere la loro stanza dai suddetti cunicoli e aprire dall’interno la porta. Tra calcinacci, chiodi e piccoli abitanti degli incavi nel cemento armato, ci riuscii con un savoirfaire tale da attirare nuovamente l’attenzione e guadagnarmi, almeno in parte, ma anche immeritatamente la qualifica di leader del gruppo. Ormai riuscivo a catturare fuggevoli sguardi da parte della donna in bianco, che ormai aveva pantaloncini bianchi e maglietta bianca con sopra una giacchetta tra il marrone e il viola. Malgrado non sia daltonico, non conosco benissimo tutti i nomi dei colori. Mi fermo all’arcobaleno.
Cenammo spensieratamente, tra dialoghi conoscitivi e simpatici sorrisi. Ovviamente il mio sguardo insisteva, educatamente all’indirizzo della donna Lina, la quale sembrava non curante delle mie attenzioni. Forte del proverbio <>, il suo atteggiamento, non funzionò da deterrente.
Pianificammo l’itinerario stradale e dopo il classico commiato, andammo a letto. La dormita fu globalmente profonda e corroborante, la mattina ci alzammo come dei squali affamati pronti ad azzannare qualsiasi cosa di commestibile ci si presentasse davanti.
Il barista non immaginava nemmeno con chi aveva a che fare. Spazzolammo l’intera scorta di croissant e caffelatte. Finalmente, aspettando come al solito le donne ritardatarie, ci rimettemmo in viaggio. L’ atteggiamento vacanziero e festoso aveva la sua manifestazione con smorfie di ogni tipo dai finestrini, sorpassi azzardati per la strada non conosciuta, occhiolini e sorrisi da parte di tutti e due i gruppi. Innegabilmente un feeling si era instaurato. Arrivammo verso le 16 del 5 Ottobre alla tanto sospirata località a sud di Kalamata. Ci ricevette un distinto signore greco con uno stentato inglese, il quale a gesti, data la nostra preparazione e la sua preparazione, non troppo accademica, dell’inglese parlato, ci spiegò come erano le loro camere (poi rivelatesi appartamenti comodissimi). La cosa che ci colpì in maniera indelebile, fu l’arrivo del figlio del signore greco. Ci parlò con un inglese Oxfordiano e volle assolutamente offrirci il tè alle 17 esatte.
Gli appartamenti in riva al mare di nuovissima fattura, dipinti di fresco e curatissimi nei minimi particolari, furono occupati con entusiasmo da parte di tutti. Optammo per il piano di sopra noi, e sotto il gruppo salentino.
Appena accomodati, infervorati dal luogo e dal reale inizio della vacanza, andammo baldanzosi a fare il sopralluogo per l’immersione di pesca che, a presta ora, sarebbe avvenuta l’indomani mattina.
Arrivammo sulla spiaggia di sassi, trovammo immediatamente il posto per poter stabilire la base. Dove pianificare gli attacchi alla ignare creature acquatiche. La base sarebbe stata comoda anche sotto il sole cocente. Infatti, la vegetazione circostante folta, ci permetteva di stendere il telo per ripararci dal sole e non ultimo gli stenditoi naturali per fare asciugare mute e asciugamani. Anche il posto del gommone di Giuseppe era adatto. Rapido nel metterlo in acqua, veloce a ritirarlo. L’unica raccomandazione che il lord inglese ci aveva fatto era di rimuovere via il motore ogni giorno. Il motore lo potevano rubare. Ciò mise in allerta Maurizio che subito, in stentatissimo inglese, chiese se anche il suo bolide a quattro ruote fosse potuto essere oggetto di altrui desiderio. (ah dimenticavo, l’auto, rigorosamente parcheggiata, era stata tappezzata dall’interno da scudi termici, che rimanevano nella corretta posizione grazie alle alette parasole, riflettenti e tendine posticce che potevano salvare la tappezzeria dal sole terzo, non ultimo, l’asciugamano sul volante, per evitare screpolature della plastica).

Per rendere l’idea delle nostre intenzioni, non posso esimermi dal descrivere l’Attrezzatura.
L’attrezzatura di pesca in dotazione era veramente impressionante. Se qualcuno ci avesse voluto giudicare guardando i nostri ‘averi’, si sarebbe convinto che eravamo incroci tra Superman, Submariner, uomini rana, 007, Seals, Batman e Uomo Ragno. Si sarebbero rassegnati a non pescare più nulla per i prossimi cinquant’anni. Saremmo stati additati quali gli Attila dei sette mari. Anche i pesci, se avessero potuto vedere la tipologia di armamenti in nostro possesso, si sarebbero gettati, come arditi eroi di altri tempi, per salvare i loro figli, sui nostri retini e panieri senza proferire lamento, movimento, pur di non subire le atroci sofferenze che simili avveniristici mezzi potevano infliggere. Le mute rigorosamente Artiche e Antartiche per lunghissime immersioni. Pinne professionali che garantivano un’accelerazione vertiginosa e costante pari ad un 16 valvole turbo in mezzo al mare. Coltelli da posizionarsi sulle caviglie, più simili a macheti e sciabole. Fucili di tutti i tipi, lunghezze a molla 30, 40, 50, 70 cm, stesse misure per quelli ad aria compressa e sopratutto ad elastico da 80, 100, 120 cm rigorosamente di marca Omer, con mulinelli incorporati, <> quindi non si spaventa. Inutile dire che i fucili erano anche di colori differenti per potersi intonare con le mute rosse, blu, nere, leopardate e militari. (d’altronde una muta sempre abito da indossare è… ci vuole eleganza). Tridenti, fiocine e Kit di sopravvivenza, starlight e lampade da immersione, fari alogeni. Maschere graduate, boccagli auto sigillanti, occhialini siliconici, cavigliere con pesi e cinte con piombi sia per profondità sia per mantenere neutre le mute. Degne di nota anche le canne da pesca. Franchi da sette metri e cinquanta, canne al carbonio da lancio e da punta e da traina. Ami, milioni di ami, galleggianti colorati, a piuma, di plastica, sughero, polistirolo. Ancorotti, ami, bave, (fili da pesca), di tutti le misure, pesi e colori. Terminali in acciaio per Squali, Ricciòle, Pesce Serra e Barracuda. Eravamo un reggimento pronto a depauperare la fauna ittica. Una cosa ci mancava, l’esplosivo e chi sapesse usarlo. Se ci avessero visto dei non pescatori, avrebbero pensato che la sporca dozzina (malgrado fossimo in 7), di chissà quale stato, stesse invadendo il Peloponneso da sud.

Un breve cenno su attitudini e inettitudini del gruppo è doveroso per capire come la combriccola fosse eterogenea e omogenea nel contempo.
Maurizio, abile sistemista programmatore, a parte la paranoia della automobile perfetta, pulita, sempre tagliandi, profumata, lucidata, incerata, asettica, ha sempre la battuta pronta. Essendo non fumatore, atletico e ben piazzato, aveva un apnea quasi impossibile da superare. Non per Marco, semi partenopeo, programmatore e operatore di sistemi Mainframe, nativo di una delle più belle isole italiane, le Pontine. Coltissimo e tranquillo, quasi laureato in Agraria, grande fumatore e bevitore di decilitri di caffè, aveva un’abilità e tranquillità in apnea da far invidia a tutti. Era uno spettacolo vederlo sott’acqua. Il suo colpo di pinna, lento ma deciso, gli faceva raggiungere i dieci metri in un baleno, il fatto che raggiunta la profondità, continuava a nuotare cercando in anfratti scogliosi come se stesse respirando ossigeno. Era il più saggio del gruppo, il mio migliore ex amico. Nello, fratello della mia ex ragazza, attuale a quel tempo, era il ‘ragazzino’ del gruppo. La sua spensieratezza e incoscienza giovanile, effettivamente un poco ci trasportava, e un poco era invidiata. Eccitato dalla sua prima uscita all’estero, e per giunta senza genitori era partenopeo DOC come detto prima, aveva anche atteggiamenti eccessivamente menefreghisti, osava troppo con la confidenza, ma era giovane e quindi scusato. Rendeva le cose difficili sempre semplici. Anche il procacciare nel supermercato del luogo spesso e volentieri diventava più una spesa ‘proletaria’ che reale. Fumava molto, questo lo ricordo bene, Marlboro rosse.
Il Giuseppe, personaggio scansafatiche, abile cultore nel evitare qualsiasi tipo di lavoro. Anche domestico, tipo pulire il bagno, rifarsi il letto, o cucinare. Leggermente parsimonioso, al pari di Maurizio. Era un abile controllore di scontrini degli empori e negozi, (visti comunque di rado), e grazie a Nello i conti non tornavano. Avevamo sempre più roba rispetto a quella indicata nei fiscali pezzi di carta. Giuseppe malgrado la sua forma rotondeggiante, paventava una conoscenza, sempre superficiale o per sentito dire, sulle esche per ami, ma anche lui quanto ad apnea e resistenza, non era terzo a nessuno. Grande difetto, gli piaceva pescare ma odiava il sapore del pesce, malgrado non lo avesse mai, dico mai, assaggiato.
Il Fabio è tuttora una delle persone più buone di questo mondo. La saggezza era inesistente, anche lui spensierato, proveniente da un paesino intorno a Roma, vedeva la realtà, per carità nota ad i suoi occhi, leggermente differente da noi. Non esitava a bevicchiare qualcosa anche a mezza mattina. La sera quasi sempre brillo, era oggetto di qualche scherzo. Dopo ne racconterò uno in particolare. Il Fabio, alla prima esperienza di pesca a mare, ma non estera infatti per tutta la vacanza ci decantava le qualità della Spagna con le sue attrattive femminili e in particolare di Benidorm. Abile lavoratore, programmatore, era la persona che si offriva sempre a fare tutto, con la sua ‘marlborella light’ in bocca e l’occhio socchiuso a causa del fumo della sigaretta, poteva pulire, cucinare, nuotare e soprattutto con il bicchiere in mano di rum, whisky, tequila, o qualcosa che superasse i quaranta gradi, anche ballare con la movenza dell’Airone. Si, era di moda un ballo House con una musica martellante che si doveva ballare con le braccia a crocefisso e girare intorno a tutta la stanza, casa, scale. Avevo paura che prima o poi volasse davvero.
Massimo prolisso personaggio, analitico e dalla favella catturante aveva più problemi di Giuseppe nel cibo. Mentre Giuseppe aborriva frutta, verdura, pesce, aglio, prezzemolo, basilico e semi di pomodoro, ma non patatine e carne. Massimo odiava anche i formaggi, il pesce con le spine, gli hamburger grassi, le verdure in genere ma non la Nutella e la frutta. Mangiatore di un barattolo al giorno del cremoso cioccolato, senza gli immancabili effetti collaterali. Anche lui alla prima esperienza di pesca con il gruppo, si rivelò un cauto esploratori di fondali, più attratto dai paesaggi e dalla flora e fauna ittica, che dalla cattura del pesce.
Io, Guido, programmatore di computer, poliedricamente adattabile, mi cimentavo nella cucina, nelle pulizie, nelle cose pratiche che, sopratutto Giuseppe scansava, Una cosa che mi fu tassativamente interdetta era il non fare la spesa, infatti, a causa della facile attitudine all’acquisto, questa poteva rivelarsi più un lato negativo e positivo, essendoci con noi amici non troppo abituati a spendere. Un’altra cosa che non sopportavo e non sopporto era il disordine, sia di Nello che di Marco. Malgrado ciò non si è mai arrivati alla discussione. Medio basso personaggio in apnea, sia per il sintomatico disprezzo di ogni attività fisica e soprattutto abile fumatore di sigarette, la vacanza la considerai molto più come svago che come attività di pescaggio vera e propria. E non stavo disprezzando la possibilità di catturare un pesce femmina nella mia rete. Malgrado la presenza di Nello, che era un deterrente, ma confidando poi nella sua solidarietà maschile.

Il gruppo delle donne, conosciuto poi molto bene, era composto dalla leader Anna parrucchiera affermata nella sua terra, la sorella Lina estetista, Annamaria, dipendente di Anna, Maria saggia infermiera simpatica e intelligentissima. Il loro gruppo, a dir il vero, autonomo, ci raggiungeva in tarda mattinata, quando noi, avevamo fatto ben più di una immersione. Assistevo ormai al rito della distribuzione sul corpo della crema da parte della fatina che ormai avevo più che adocchiato. Gambe flessuose e magre fin sopra le ginocchia, Quadricipiti a dir il vero, sovradimensionati, fisico asciutto, petto, viso bocca bellissimi, il posteriore leggermente grande. Si spalmava la crema con atteggiamento vezzoso ma non vanitoso, con pochi sguardi in giro e concentrata soprattutto sulla riuscita dell’operazione. Si vedeva che non voleva lasciare nessun millimetro quadrato scoperto dall’olio abbronzante. Come al solito la sfiga volle, per noi maschietti, che nessuno di loro amava prendere il sole in topless. Ricordo come fosse oggi quando usciva dall’acqua, mi veniva spesso in mente una canzone che sentivo cantare dalla mia mamma, di Fred Bongusto.
A breve termine, iniziarono le operazioni di pesca, due pescetti, murene, polipi ma nulla che giustificasse tutto l’armamentario che avevamo, insomma, non abbiamo mai praticamente fatto una enorme mangiata di pesce se non al ristorantino di un certo Dimitri. (segue)

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