Con un poco di inquietudine, mal celata, di tutti quanti, ci dirigiamo verso il gruppo salentino, per salutarlo, e per rincalzare in parte la dose, di venire a passare la vacanza con noi. I rispettivi alloggi notturni ci attendevano. Ricordo vagamente il disagio di non aver preso cabine con il bagno, ma solo con un lavandino.
La cabina era stretta, con un odore particolare, forse di vernice fresca o di qualche deodorante, messo lì per rendere l’ambiente più accogliente. La sistemazione fu così decisa: Guido, Nello un'altra Marco, Giuseppe, Massimo ed infine Maurizio,Francesco.
Finalmente a letto.
I sussulti e il rumore della nave, aumentavano nel corso delle ore notturne. Lo sbattere della prua sulle onde si faceva sempre più ripetitivo, mentre il fragore disturbava in maniera insopportabile il poco sonno che già, a quel tempo, mancava.
Ricordo chiaramente l’espressione di nausea di uno di noi, e doveva essere sintomo comune, dato che il puzzo acre di qualche sventurato, si faceva ormai largo, coprendo il deodorantino o l’odore della vernice della nave.
Non tutti i mali vengono per nuocere.
La mattina, non tardò ad arrivare. Sicuramente intontiti dal poco sonno, ci rechiamo negli squallidi bagni per sistemarci un po’ con occhi. Erano impraticabili, era il quartiere generale dei succhi gastrici emessi da sfortunatissimi e deboli di stomaco, passeggeri dell’arca della speranza.. Come ero entrato, con un abile e rapido dietrofront mi riavvio verso la nostra cabina, e ringraziai qualcuno per averci dato un lavandino in cabina. Dove, seppi in seguito, Nello aveva abbondantemente urinato a causa dell’impraticabilità appena detta dei bagni comuni.
Certo non proprio felici, ed incuriositi, un drappello di noi, o meglio, chi non aveva accusato il colpo nauseabondo, si recò sul ponte per vedere il mare.
INCAZZATISSIMO MARE, abbiamo letto sui giornali poi, che praticamente ciò che stavamo vedendo, era una autentica tempesta nell’adriatico. La nave con i sventurati ormai non fumatori, (a dir il vero nemmeno io avevo voglia di fumare), era diventata un’inquietante oggettino galleggiante, circondato da onde alte che spazzavano, senza problemi il ponte di prua e non di rado il secondo ponte a circa cinque o sei metri più in alto.
Intimoriti ma anche affascinati da questo fragore, spruzzi bianchi, profumo appiccicoso di salsedine, giocavamo come dei bambini. Il gioco consisteva nell’aspettare l’onda più alta per poi abbassarci prontamente facendoci scudo con la ‘ringhiera’ (chiusa) di questo secondo ponte. Il divertimento più grande venne appena arrivò Maurizio, il più alto, un metro e novantacinque, il quale ignaro ci vide ridere come dei cretini. Ben presto arrivò un'altra onda, forse delle più alte. Prontamente sgarzelloni (pratici), ci abbassammo facendoci scudo, lui rimase interdetto dalla nostra reazione e fu sommerso da capo a piedi da spumeggianti flutti, irrimediabilmente bagnato. A nulla valsero i nostri poco consoni proverbi <> , <>’ . Furioso se ne tornò in cabina e scomparve per almeno due ore. Qualche esponente del gruppo da convincere, si incominciò ad intravedere. La salentina carina, mancava all’appello. Nel frattempo la nave cercava di avvicinarsi al porto di Kerkira. Molta gente si stava preparando e stava raccogliendo la propria roba, compreso il gruppo adocchiato in precedenza ormai al completo. Ricordo la bellezza della ragazza vestita ancora di bianco, senza trucco, con occhini assonnati ma dolci nel contempo. Un’immagine che non dimenticherò mai. Ma il tempo tiranno per loro, svolse un importante aiuto nel convincere il gruppo a seguirci nel nostro luogo di vacanza, descritto ormai come l’eden sulla terra. Infatti i molteplici tentativi per raggiungere il porto di Kerkira , fallirono miseramente. La nave in porto, addirittura a un miglio circa dal porto, non riusciva ad avvicinarsi.
Il ben augurante, (per noi), annuncio dell’altoparlante, avvisava i gentili passeggeri che la nave, fallendo l’attracco, (o meglio l’entrata nel porto), avrebbe fatto scendere i naviganti alla successiva fermata. Igoumenitsa. Qualcosa dentro di me mi rendeva gioioso, ma l’altro aspetto, pessimista, mi faceva pensare all’incredibile forza del mare che non permetteva di fare ciò che noi, esseri umani, volevamo fare. Questo sentimento o impressione di impotenza, un poco mi preoccupava. Stessa sinfonia l’ascoltammo dopo qualche ora davanti al porto della seconda sosta programmata. E mentre prima, il gruppo salentino aveva sperato nel ritorno della nave verso la loro destinazione, credendo in un miglioramento repentino delle condizioni del tempo, ormai si rassegnò a seguirci in qualsiasi posto potevamo garantirgli, essendo diventato un gruppo senza meta. Come d’incanto diventammo simpatici, e la cosa più importante che la tipetta, aveva annuito senza colpo ferire alla scelta maturata dalla sorella e dalle sue amiche, durante una delle sue frequenti assenze.
Arrivammo a Patrasso, dove il mare, sembrò calmarsi. Dopotutto Patrasso è dentro un golfo e il porto, decisamente più grande. Raccogliemmo la roba anche noi. E con l’accordo di essere seguiti, ci dirigemmo verso le auto. Fortunatamente l’alfa 33 di Maurizio non aveva subito nessun schizzo di salsedine (malgrado secondo me, meditava, su una possibile sosta a qualche autogrill per dare una passata di grafite alla sua auto, perché sicuramente era stata attaccata dalla salsedine).
Le tipe, avevano una Fiesta rossa targata Lecce, nuova di fabbrica. Essendo loro in quattro e una di loro molto brutta, decidemmo, riprendendo da un jingle dell’epoca, di prenderle in giro dicendo <>. Le pratiche di sbarco furono effettuate senza grossi problemi, ma durarono molto. Infatti il tempo dei tentativi a Kerkira, Igoumenitsa e le innegabili problematiche che molti passeggeri avevano sollevato con la direzione della nave, fecero sommare circa sette ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Un lato positivo ci fu, eravamo quasi certi che smettere di fumare era possibile visto che solo uno di noi era in vera astinenza da nicotina. Marco.
Ci incamminammo con le nostre auto, per raggiungere la ormai tanto ambita meta. Ci fermammo a comprare circa una decina di stecche di sigarette complessivamente. Il paesaggio intervallato da strutture basse di calce, piante filiformi sul ciglio della strada color oro, il cielo ormai terzo, e la gioia di avere delle donne al seguito, di cui una molto interessante per me, rendeva il ritorno in questa terra, veramente differente, mi dava una sensazione di tranquillità e spensieratezza, quasi mai provata, e una innegabile felicità di libertà, che da molto tempo, circa sette anni, che non provavo. Infatti la mia ragazza, rimasta a Napoli, fin troppo gelosa, non mi lasciava troppo spazio e troppe scelte tra lei e le mie amicizie. Il fatto di stare lontano, di avere scuse per non telefonare ogni mezzora, mi rendeva libero da ogni impegno promesso. Nello il fratello della mia ragazza, napoletano DOC, aveva, come tutti, fame. Solo che lui disse coloritamente e metaforicamente, come solo la gente partenopea sa fare: ‘Ueee Uaglio tengh ‘e rane rintro ‘o stommaco c’hamm a ferma’ acca’ ‘e girini se stanno facendo largo tra nu poco m’e ‘mmastico ’ (mi perdonino i conoscitori della lingua scritta). Mangiammo in una trattoria ‘tipica’ greca. Uno di noi, ovvero io, con sottofondo musicale vocale, di tutti quanti, incominciai a mettermi in bella mostra intonando Stornelli Romani che a tanti non di Roma, fanno sbellicare dalle risate. Notavo che la tipa di nome Lina, incominciava a ‘tirarsela’ di meno ed era visibilmente contenta e soprattutto ricreduta della compagnia. Il primo mattone era stato gettato. Anche il pranzo si protrasse un poco troppo infatti ormai erano circa le 17:00 e ci rimettemmo in viaggio. Ben consci che la notte, ci avrebbe sorpreso prima di arrivare a destinazione. strada facendo, iniziammo la ricerca di un ricovero notturno.
Infatti il pilota della Fiesta al seguito, l’Anna, non amava guidare di notte e quindi ci ‘costrinse’ a fermarci. Trovammo una pensione niente male con delle stanze, ancora in costruzione particolare che si rivelò poi una peculiarità importante. Erano pulite, luminose e sicuramente molto più confortevoli della cabina di una nave. Per la cronaca, prima dell’arrivo nel suddetto posto, il posacenere del BMW, fu svuotato più di tre volte. (segue)
La cabina era stretta, con un odore particolare, forse di vernice fresca o di qualche deodorante, messo lì per rendere l’ambiente più accogliente. La sistemazione fu così decisa: Guido, Nello un'altra Marco, Giuseppe, Massimo ed infine Maurizio,Francesco.
Finalmente a letto.
I sussulti e il rumore della nave, aumentavano nel corso delle ore notturne. Lo sbattere della prua sulle onde si faceva sempre più ripetitivo, mentre il fragore disturbava in maniera insopportabile il poco sonno che già, a quel tempo, mancava.
Ricordo chiaramente l’espressione di nausea di uno di noi, e doveva essere sintomo comune, dato che il puzzo acre di qualche sventurato, si faceva ormai largo, coprendo il deodorantino o l’odore della vernice della nave.
Non tutti i mali vengono per nuocere.
La mattina, non tardò ad arrivare. Sicuramente intontiti dal poco sonno, ci rechiamo negli squallidi bagni per sistemarci un po’ con occhi. Erano impraticabili, era il quartiere generale dei succhi gastrici emessi da sfortunatissimi e deboli di stomaco, passeggeri dell’arca della speranza.. Come ero entrato, con un abile e rapido dietrofront mi riavvio verso la nostra cabina, e ringraziai qualcuno per averci dato un lavandino in cabina. Dove, seppi in seguito, Nello aveva abbondantemente urinato a causa dell’impraticabilità appena detta dei bagni comuni.
Certo non proprio felici, ed incuriositi, un drappello di noi, o meglio, chi non aveva accusato il colpo nauseabondo, si recò sul ponte per vedere il mare.
INCAZZATISSIMO MARE, abbiamo letto sui giornali poi, che praticamente ciò che stavamo vedendo, era una autentica tempesta nell’adriatico. La nave con i sventurati ormai non fumatori, (a dir il vero nemmeno io avevo voglia di fumare), era diventata un’inquietante oggettino galleggiante, circondato da onde alte che spazzavano, senza problemi il ponte di prua e non di rado il secondo ponte a circa cinque o sei metri più in alto.
Intimoriti ma anche affascinati da questo fragore, spruzzi bianchi, profumo appiccicoso di salsedine, giocavamo come dei bambini. Il gioco consisteva nell’aspettare l’onda più alta per poi abbassarci prontamente facendoci scudo con la ‘ringhiera’ (chiusa) di questo secondo ponte. Il divertimento più grande venne appena arrivò Maurizio, il più alto, un metro e novantacinque, il quale ignaro ci vide ridere come dei cretini. Ben presto arrivò un'altra onda, forse delle più alte. Prontamente sgarzelloni (pratici), ci abbassammo facendoci scudo, lui rimase interdetto dalla nostra reazione e fu sommerso da capo a piedi da spumeggianti flutti, irrimediabilmente bagnato. A nulla valsero i nostri poco consoni proverbi <
Il ben augurante, (per noi), annuncio dell’altoparlante, avvisava i gentili passeggeri che la nave, fallendo l’attracco, (o meglio l’entrata nel porto), avrebbe fatto scendere i naviganti alla successiva fermata. Igoumenitsa. Qualcosa dentro di me mi rendeva gioioso, ma l’altro aspetto, pessimista, mi faceva pensare all’incredibile forza del mare che non permetteva di fare ciò che noi, esseri umani, volevamo fare. Questo sentimento o impressione di impotenza, un poco mi preoccupava. Stessa sinfonia l’ascoltammo dopo qualche ora davanti al porto della seconda sosta programmata. E mentre prima, il gruppo salentino aveva sperato nel ritorno della nave verso la loro destinazione, credendo in un miglioramento repentino delle condizioni del tempo, ormai si rassegnò a seguirci in qualsiasi posto potevamo garantirgli, essendo diventato un gruppo senza meta. Come d’incanto diventammo simpatici, e la cosa più importante che la tipetta, aveva annuito senza colpo ferire alla scelta maturata dalla sorella e dalle sue amiche, durante una delle sue frequenti assenze.
Arrivammo a Patrasso, dove il mare, sembrò calmarsi. Dopotutto Patrasso è dentro un golfo e il porto, decisamente più grande. Raccogliemmo la roba anche noi. E con l’accordo di essere seguiti, ci dirigemmo verso le auto. Fortunatamente l’alfa 33 di Maurizio non aveva subito nessun schizzo di salsedine (malgrado secondo me, meditava, su una possibile sosta a qualche autogrill per dare una passata di grafite alla sua auto, perché sicuramente era stata attaccata dalla salsedine).
Le tipe, avevano una Fiesta rossa targata Lecce, nuova di fabbrica. Essendo loro in quattro e una di loro molto brutta, decidemmo, riprendendo da un jingle dell’epoca, di prenderle in giro dicendo <
Ci incamminammo con le nostre auto, per raggiungere la ormai tanto ambita meta. Ci fermammo a comprare circa una decina di stecche di sigarette complessivamente. Il paesaggio intervallato da strutture basse di calce, piante filiformi sul ciglio della strada color oro, il cielo ormai terzo, e la gioia di avere delle donne al seguito, di cui una molto interessante per me, rendeva il ritorno in questa terra, veramente differente, mi dava una sensazione di tranquillità e spensieratezza, quasi mai provata, e una innegabile felicità di libertà, che da molto tempo, circa sette anni, che non provavo. Infatti la mia ragazza, rimasta a Napoli, fin troppo gelosa, non mi lasciava troppo spazio e troppe scelte tra lei e le mie amicizie. Il fatto di stare lontano, di avere scuse per non telefonare ogni mezzora, mi rendeva libero da ogni impegno promesso. Nello il fratello della mia ragazza, napoletano DOC, aveva, come tutti, fame. Solo che lui disse coloritamente e metaforicamente, come solo la gente partenopea sa fare: ‘Ueee Uaglio tengh ‘e rane rintro ‘o stommaco c’hamm a ferma’ acca’ ‘e girini se stanno facendo largo tra nu poco m’e ‘mmastico ’ (mi perdonino i conoscitori della lingua scritta). Mangiammo in una trattoria ‘tipica’ greca. Uno di noi, ovvero io, con sottofondo musicale vocale, di tutti quanti, incominciai a mettermi in bella mostra intonando Stornelli Romani che a tanti non di Roma, fanno sbellicare dalle risate. Notavo che la tipa di nome Lina, incominciava a ‘tirarsela’ di meno ed era visibilmente contenta e soprattutto ricreduta della compagnia. Il primo mattone era stato gettato. Anche il pranzo si protrasse un poco troppo infatti ormai erano circa le 17:00 e ci rimettemmo in viaggio. Ben consci che la notte, ci avrebbe sorpreso prima di arrivare a destinazione. strada facendo, iniziammo la ricerca di un ricovero notturno.
Infatti il pilota della Fiesta al seguito, l’Anna, non amava guidare di notte e quindi ci ‘costrinse’ a fermarci. Trovammo una pensione niente male con delle stanze, ancora in costruzione particolare che si rivelò poi una peculiarità importante. Erano pulite, luminose e sicuramente molto più confortevoli della cabina di una nave. Per la cronaca, prima dell’arrivo nel suddetto posto, il posacenere del BMW, fu svuotato più di tre volte. (segue)
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