martedì 26 giugno 2007

Le emozioni di un rapporto.

Da un argomento giocondo come il precedente, passo ad un altro, senza colpo ferire, o di palla in frasca come si dice a Roma. L’argomento è il rapporto con un'altra persona.

Ho fortunatamente, tanti Amici, (con la A maiuscola) . O almeno li ritengo tali. Dico fortunatamente, perché al contrario di qualcuno, anche gli oneri che gli amici ti danno, cerco di portarli a compimento nel miglior modo possibile, e senza farmeli mai pesare più di tanto. La gentilezza e la disponibilità per loro è quasi sempre, salvo forza maggiore, garantita ad i massimi livelli. Per me l’amicizia è un legame fondamentale con le persone care, avere un amico è accettare tutto di lui, senza provare a cambiarlo. Capire le sue manifestazioni, e guardarle sempre con spirito, anche critico, ma ottimistico.
Un amico caro, molto caro mi ha tradito. Si mi ha tradito nel peggiore dei modi. E la cosa che mi fa più male, è un effetto collaterale che si è venuto a creare. Ovvero, non ho più la possibilità di vedere la piccoletta che ho tenuto a battesimo. Una Stellissima unica, seconda a nessuno.
Il rapporto di amicizia con questa persona è nato nel 1989, precisamente in un viaggio a Napoli. Andavo a Napoli molto spesso, almeno una volta a settimana. Lui mi chiese un passaggio, ed essendo un collega di ufficio, glielo diedi volentieri
Nacque subito un feeling particolare. Questa persona saggia come non mai, ha contribuito e ha fatto parte della mia vita molto più di un fratello. Con lui sono andato in vacanza molto spesso, con lui ho deciso se lasciare delle ragazze. E’ stato partecipe, consigliandomi positivamente su un milione di aspetti, dalla casa al matrimonio, dalle auto, alle moto, dalle biciclette al semplicissimo portatile.
Appassionato ma non stressato dalla pesca abbiamo passato insieme delle vacanze bellissime, Lampedusa, Grecia, Giglio, Sardegna, Puglia, Ponza etc.
Che io abbia un carattere clamorosamente particolare, più di una volta l’ho accennato. Gli errori in giovinezza sono stati soprattutto dettati dall’impulsività. Lui credo abbia sempre sopportato in silenzio, malgrado più di una volta, in nome dell’amicizia, mi sarei aspettato un dibattimento, un confronto, alle situazioni difficili che immancabilmente si sono create tra noi. La persona di cui vi parlo è più grande di me di sei anni. Ha un carattere chiuso e introverso in molti aspetti di vita, sciolto, affabile in altri. Soprattutto quando è coadiuvato da amici, la classica schiettezza campana, il detto calzante, che solo la loro borbonica cultura ha, fanno breccia su qualsiasi animo, facendo ridere a perdifiato, o a far pensare come nessun filosofo può farti fare. Questa persona ha un bagaglio culturale di informazioni che spaziano dall’astronomia alla filosofia, dalle auto alla botanica. Quasi laureato in Agraria (avete presente ingegneria aerospaziale ? beh è una quisquilia in confronto), laureato in Economia, e anche lui da poco a terminato un master in criminologia.
A questa persona, devo molto. Grazie a lui mi sono laureato, mi ha trasportato, incitato nei momenti difficili, ed anche io a lui, facendolo sentire sempre molto importante per me.
Ormai sono tre anni che non ci parliamo. Il rapporto è ancora più difficile a causa del fatto che lavora con me, nella stessa stanza, la distanza che ci divide, è una scrivania. Ci limitiamo ad un buongiorno e un buonasera, non chiamandoci nemmeno più per nome. L’unica volta in questo lungo periodo che ci siamo parlati, quasi come una volta, è stato quando gli è venuto a mancare un genitore.
Da cosa è nato questo silenzio ? Si stenta a credere, ma davvero non lo so. Veramente, lo giuro. Il giorno dopo della laurea in economia di internet, lui non mi ha parlato più. Insistendo e chiedendo i motivi, le risposte sono sempre state blande e schive. La frase classica ‘ nulla non ho nulla ‘, ma non spiegava l’atteggiamento. Ho scritto anche cinque e-mail, non ho avuto mai risposta. Ho chiesto alla moglie, la quale, mi ha liquidato ‘Sono cose vostre io non voglio entrarci ’ . Palesemente, non gli fregava nulla di aiutarmi a sistemare la faccenda. E’ dovuto, anche per dovere di cronaca, di parlare della moglie del mio ex amico. La moglie del mio ex amico è un po’ strana. E’ tedesca, precisissima, ma solo per le cose che gli interessano. E’ facile a dire le bugie. E credo abbia vissuto il nostro rapporto di amicizia con enorme gelosia. Qualsiasi cosa lui dicesse a me, e lei non sapeva, alzava sempre degli enormi casini. La gelosia è una brutta bestia, in tutti i campi, sia in rapporti di coppia che in amicizia. La tedesca ha sempre aborrito che suo marito studiasse per una laurea, paventando scuse indicibili, mettendogli bastoni fra le ruote e rendendogli non facile la vita universitaria a distanza. Ricordiamo che eravamo studenti lavoratori a Roma e dovevamo andare a fare esami a Forlì. Quasi sempre dovevamo partire alle quattro di mattina perchè non era possibile arrivare nella città la sera prima. Se avevamo gli esami in più giorni intervallati da un giorno di non esame, si doveva tornare a Roma per poi ripartire due giorni dopo alle quattro di mattina. Ma non è solo questo, lo stress era comunque martellante anche ogni giorno tra latte, pane e spese rapide comunicate magari alle 19:59 ovvero un minuto prima che i negozi chiudessero. La propensione alle bugie si è manifestata più volte in maniera plateale, con messaggi mai ricevuti sul cellulare, o con comunicazioni false. Una di questa che ha fatto rompere i rapporti con lei, è stato quando ha organizzato una festa per la Stellissima, mentre a noi a ha detto che non avrebbe fatto nulla. La giustificazione è stata che siccome io ero in rotta con il marito, non ha reputato necessario invitare nemmeno la mia compagna. Noi alla Stellissima siamo veramente attaccati. Proprio ieri, l’ho rivista dopo un anno ed è cresciuta molto, davanti a lei mi sono trattenuto, ma dopo le lacrime mi sono sfuggite in un attimo di mia intimità. Con il mio ex amico non credo ci sia più nulla da fare. La rottura dell’amicizia mi ha fatto passare un periodo di stress, dove in quel periodo, prima che mettessi l’animo in pace, mi sono uscite verruche e caduti capelli. Ora so che non c’e’ più nulla da fare, non riuscirei a perdonare il torto subito nemmeno se stavolta venisse lui da me. Non riuscirebbe mai a spiegarsi, non lo ha fatto prima, non lo farà mai. Ripeto, avrò delle colpe, non so quali ma sicuramente ce le ho, ma in nome dell’amicizia a cui credevo molto, avevo il diritto di conoscere dove avevo sbagliato. Così non è stato.
Se un giorno ci riparleremo, non sarà per amicizia, anche se lui lo vorrà, ma solo per puro opportunismo, ovvero quello di poter rivedere più spesso la Stellissima.

venerdì 22 giugno 2007

La Verruca...

Le verruche erano conosciute dagli antichi greci e romani e in alcuni scritti del 30 a.c. Aulo Cornelio Celso già parla di manifestazioni, simili a porri, che possono far pensare alle verruche. La loro identificazione come infezioni trasmissibili per contagio avvenne, però solo alla fine di questo secolo, mentre l’agente che ne è la causa, il virus papilloma, fu isolato nel 1949 e, qualche anno dopo caratterizzato come virus DNA doppia elica della famiglia dei Papillomavirus . Oggi si calcola che a soffrire di verruche è quasi il 7 per cento della popolazione.
(fonte ttp://www.dermaclub.it/)
Ebbene si sono stato colpito in data imprecisata da questo Papillomavirus di tipo 1.
Se si legge su internet qualcosa sulle malattie, state sicuri che quello pubblicato mette tutto un inquietudine clamorosa. Leggendo qua e la in siti di medicina, ho scoperto man mano di avere tutte le malattie di questo mondo e come, citato in 'Tre uomini in barca", effettivamente le uniche malattie che non ho contratto è stato il ginocchio della lavandaia o una vulvovaginite.
Ciò che scrivo potrà indurre a pensare che sono un ipocondriaco o come una ex amica tedesca disse "ipocondro". Non credo di esserlo...
Bene, una settimana fà ho fatto una visita ad i Nevi (Nei nel linguaggio comune) e lo zelante dermatologo del San Gallicano, dopo aver fotografato con un software niente male quattro o cinque nei, mi ha controllato sotto il piede e mi ha detto: "aaaahhh qui c'e' una verruca plantare bisogna toglierla subito", prodigo mi ha compilato l'impegnativa per la "Rimozione Criogenica" della povera verruca ignara. Povera verruca sì... dopotutto non mi ha mai dato dolore o problemi, se ne stava li sola soletta in pace e magari si mangiava anche un po di lipidi del mio grasso corpo. L'unico fastidio era quando con la spugna strumento indispensabile della doccia mattutina, la accarezzavo come un nuovo personaggio che dipendeva unicamente dagli "abbacchi, bistecche e tramezzini" che mi mangio sicuramente ogni tanto, il fastidio era come un granello di sabbia sotto il piede... niente di più.
Finita la visita ai Nevi, mi dirigo con il solito spaesato fare, verso un ufficio informazioni sano ed efficiente, ritiro il biglietto per la coda "397". Disperato dalla triste notizia appresa dal tabellone a led rossi che indicava il numero "324", mi metto seduto e aspetto. I sportelli erano sette, e nel giro di venticinque minuti, compreso il gesto educato di lasciare posto e numero della fila ad una signora anziana, l'appuntamento per il 15 c.m. è stato prenotato.
Qui inizia il casino... appena tornato a casa, mi accorgo che per il 15 non era possibile fare nulla. Telefono al numero di prenotazione unica (CUP) 803333. Un'odissea... La prima "operatrice" affermava che l'impegnativa ormai era scaduta... (ad ogni prenotazione, ci vuole una nuova impegnativa almeno così adducevano), un'altra che non si poteva riprenotare perchè bisognava aspettare che il sistema centrale registrasse l'assenza il giorno prestabilito. Mi arrabbio con la terza operatrice affermando che l'impegnativa andava bene e che questo intervento era demandabile a data da destinarsi.
Vengo prenotato per il 21 c.m.
Inutile dire le peripezie per raggiungere l'ospedale con Ricky. Traffico tentacolare sul raccordo anulare, (permettetemi la rima), arriviamo, parcheggiamo solo, a circa cinquecento metri di distanza. Arrivo per pagare il ticket, bancomat non funzionante, ricerca di spicci tra bar e persone in fila. Terminata questa via crucis, mi dicono "segua la linea Blu, prenda l'ascensore I o L o H. " seguo la linea arrivo all'ascensore tre. Come tre ? ascensore tre ? la linea seguita era la celeste scuro e non la blu. Pensate ad un daltonico, come avrebbe fatto ? . La linea Blu era dall'altra parte dell'androne gigante.
Arrivo alla sala d'aspetto e dopo una buona ora e mezza di attesa mi chiama il dottore "Si sieda sulla poltrona BLU, per me ce n'era una rossa e una quasi nera.
Non sono daltonico a meno che non lo sia diventato oggi e sia terminato appena uscito dall'ospedale. Sto blu oggi m'ha stressato.
Mi metto seduto sulla poltrona e il piede sul lettino. Come un contorsionista ci riesco in maniera goffa, poco decisa. Il medico compiacente e anche di una certa età con un inflessione un pò bisex mi spiega cosa succederà e nel mentre si prodiga in questo rapporto medico-paziente, la verruca sta urlando, lo so che sta chiedendo il piede e pietà. Dopo circa dieci minuti mi rimetto il fantasmino, la scarpa, e appena appoggio il piede per terra un dolore di ustione da sigaretta si irradia su tutta la pianta.
Zoppicando vistosamente e ritirato il certificato per il lavoro, e con un essere agonizzante con morte certa sotto il piede. Me ne vado a casa.
Povera verruca indifesa.
P.S. il 12 devo fare la visita per accertarsi se i soldi spesi per l'annuncio mortuario della verruca sono stati spesi bene oppure ancora una parte di lei è viva.

martedì 19 giugno 2007

Fifteen minutes to go... (IV)

Riprendo malvolentieri il discorso del museo. Non per pigrizia, ma perché sicuramente con le mie semplici parole, non sono in grado di spiegare quello che veramente sento e vedo. La presenza di tale edificio contrasta nettamente con quello che c’e’ intorno.

Qui manca veramente tutto, le infrastrutture di base sono inesistenti, le fogne a cielo aperto che costeggiano come marciapiedi, ogni strada, ormai sembrano normali, anche il naso si è abituato. Il grigio ocra che caratterizza questo posto non balza più agli occhi. I bambini, ci rincorrono con occhi profondi, tristi e felici nello stesso tempo, inventandosi stranissime smorfie e gestualità sempre più strane, per ricevere chissà quale compenso. Non ho portato nulla. Non credo sia possibile, ma chiederò, fare una scorta di cibo per poi distribuirlo. Ma in un attimo, pensando a questa cosa, mi viene in mente, quando da piccolo, lanciavo pezzi di pane alle galline nel pollaio della signora Maria. Mi divertivo a lanciarlo alternando il vicino e il lontano, per farle correre e per farle uscire pazze.

Qui non saprei davvero come fare, qui ci sono esseri umani, che malgrado tutto, ancora sorridono.

Una pensiero molto profondo, (da quando sono qui a dire il vero lo penso spessissimo, magari è qui intorno, ma non posso incontrarlo), va ad un amico virtuale, ma scriverò più approfonditamente di Lui appena avrò avuto l’ONORE di parlargli.
Un suo atroce dilemma, raccontato da interposta persona, è stato quello di scegliere tra decine di bambini a chi dare del cibo. Credo che in quel momento, avrebbe voluto avere una nave di cibo. Ora lo capisco, ora capisco davvero. Chi mi conosce mi troverà cambiato.

Le poche volte che mi faccio raggiungere dai mass media, ascolto i fatti di cronaca, con un’attenzione particolare alle prese di posizione, molte volte inesistenti, sugli sbarchi di extracomunitari sul nostro territorio. Extracomunitari una parola considerata da molti con superficialità, ormai ci concentriamo solo sulla notizia e non sul fatto che con questa parola stiamo identificando un gruppo di esseri umani.

Anche io sono stato così, anche io fino a qualche ora fa ero così, da qualche giorno non più. Attenzione, con questo non voglio assolutamente dire “accogliamoli tutti” ma non tutti sono delinquenti, non tutti vengono per rubare. Credo che molti vengano qui per raggiungere un qualcosa che li faccia sentire uomini, vivi e non rifiuti umani.

Cosa c’e’ di male, a questo punto, di migliorare la propria esistenza, almeno per racimolare qualcosa per poter vivere in un posto straniero e lontano ?. Non attribuisco colpe, non sono in grado di capire bene il problema, ma credo sicuramente che se il problema, fosse affrontato globalmente, seriamente senza tener conto del petrolio, della politica, sicuramente si potrebbe risolvere, si tratta di esseri umani di gente come noi.

Un’altra domanda che mi sto ripetutamente facendo è ma dove sono finiti tutti gli aiuti internazionali, dove stanno convogliando le cifre ? Qualche strada del centro è a malapena asfaltata, altre sono stradine e viottoli, dove l’immondizia fa arredamento, e addirittura impraticabili con un fuoristrada. La città vecchia, (quella con le case senza vetri), una volta doveva essere un agglomerato caratteristico di paglia e fango. Volete vedere come abitavano le prime civiltà degli uomini, venite qui. Qualche casa finemente rifinita balza agli occhi e il gap tra povertà e ricchezza è smisurato. Probabilmente sono abitazioni di governanti o signorotti manzoniani, che con sotterfugi e con la collusione di qualcuno, si permettono uno stile di vita palesemente diverso.

Qui non vedo edifici in restauro, non si vedono nuovi palazzi in costruzione, solo miriade di persone con lunghe barbe e rosari in mano che guardano noi come fossimo in cagnesco o extraterrestri, probabilmente lo siamo. Gli edifici semidistrutti, ai piani superiori sono deposito detriti, al piano terra, botteghe con mercanzia disparata. Mi è balzato all’occhio un ‘negozio’ che vendeva cerchioni usatissimi e arrugginiti di auto. Stupidamente, un sorriso mi è sfuggito, credo sia tutto il suo benessere e io ho riso di lui.

Se a questa gente li aiutiamo, rendendoli partecipi di quello che vorremmo e potremmo fare con il loro aiuto, probabilmente non ci guarderebbero così male. Secondo me qui c’e’ stato un approccio troppo occidentale, e questo forse stato l’errore o è l’errore. Vedere tutto con occhi occidentali, senza tener conto della dignità, degli usi, dei costumi, delle credenze, del Know-How culturale di questa gente non aiuta noi ad essere amici loro.

Oggi ho guardato più volte il cielo, stavolta azzurro… sembra più bello del solito, domani sarà una giornata che avrà giustificato la mia presenza qui. Una frase di addio della guida è stata… ‘ Qui a …. Nevica sempre….’ Non ho compreso bene il significato. Per ora mi accontento di quello meteorologico.

Questa mattina è un bel giorno, oggi termina se tutto và liscio la mia “gita” . Nel nostro gruppo c’e’ una strana tensione, il nostro lavoro ormai è quasi terminato, basta ancora qualche ora le più difficili ma la fatica di questi giorni è propedeutica per l’ultima “tirata” di oggi. Molta gente qui intorno, i pochi che ci hanno visto si domandano forse che cosa stavamo facendo qui. Se riesco ad avere una connessione decente con qualche mezzo telematico provo a telefonare, non ci è consentito usare mezzi tradizionali.

Ora vado il lavoro il più serio ci aspetta.

Finito… tutto finito, almeno in parte. L’intento per cui siamo qui, ha avuto la massima espressione, ovvero tutto è riuscito per il meglio.

Saremo di partenza e non ci è dato sapere quando, il come lo conosco. Il gabbiano cattivo sarà pronto per mangiarmi speriamo mi porti nel suo ventre e mi lasci intatto con la sua lenta digestione. Intanto ho rimediato uno “stordente” una serie di Tavor che mi indurranno un bel sonno chimico. Stavolta, quando ascolterò la famosa frase “ Fifteen minute to go” non avrò troppo tempo per pensare. Mi impasticco in barba a tutti i pensieri ansiosi che mi vengono dal secondo minuto di attesa. Speriamo facciano presto effetto. Al massimo venti minuti così mi hanno detto… non ho intenzione di sorbirmi altri pensieri ho pensato troppo per il mio ristretto cervellaccio. Termino con una frase, appena arrivata nella mia mente pensando a questa esperienza, in attesa di un domani:

E un bel giorno dimenticando di aver visto, vivrò pensando e tenendo conto delle mie emozioni, sensazioni, e non dei miei ricordi visivi sbiaditi….( Orsissimo 67 )

…e il tempo ruba i contorni ad una fotografia ( Renato Zero)


Evviva la chimica.

(lo correggerò e lo rivedrò come parte unica appena posso)

Fifteen minutes to go... (III)

Oggi è un altro giorno, la sveglia normale, il sonno non c’e’ stato, i motivi li conosco. Agitazione da pensieri negativi, caldo non hanno certo contribuito alla mia ormai perenne insonnia. Non ho le gocce per dormire e anche questo non mi ha aiutato. In più come se non bastasse, il dolore al fianco, che mi attanaglia ormai da venti giorni, si sta acutizzando. Non ho intenzione di andare dal medico a casa, figuriamoci qui.

Ieri sera sono entrato in uno spaccio. La merce disposta con ordine su scaffali da cantina, era varia. A parte detersivi, lamette, acqua, patatine, due cose mi hanno colpito tantissimo. Il quantitativo di gomme da masticare Daygum e i pupazzetti di peluche.

Le ChewingGum di tre o quattro gusti disposti in ordine vicino la ‘cassa’ ricoprono almeno un metro quadro di bancone. Tale abbondanza è forse giustificata da due motivi. Il primo per enfatizzare l’igiene orale, l’altra per far scaricare forse un po’ di tensione con la masticazione.

I pupazzetti di peluche sono sicuramente da riportare come presente quando si torna a casa, magari alla ragazza, o all’amica del cuore. Speriamo che questa parte dello store, venga svuotata.
Do ragione pianamente ad una amica che dice che quando ti fai la doccia, dopo sembri piu' sporco di prima, non è per l'acqua, che sembra apposto, ma è per la durata. Infatti abituato ai miei quaranta minuti, qui te ne devono bastare tre.

Ora è arrivato il momento di andare. Crema protettiva, telefono Sat, cappello, occhiali da sole, una borraccia.

Tornerò per scrivere. Ne sono sicuro.

Eccomi qui.

Ricco dentro, infelice dentro, stanco fisicamente. Sorridente fuori.

Non siamo usciti, da dove siamo entrati l’altro giorno di notte. Anche stavolta in totale tre autoveicoli, noi al centro… Stavolta non si corre, a parte qualche tratto considerato, con qualche parametro statistico o informativo, l’andatura è stata lenta.

La povertà e la sporcizia, sono regine in questo posto. Il paesaggio è color seppia. Case basse, con mattoni argillosi scrostati dall’escursione termica, non hanno manutenzione alcuna… devono sopravvivere qui, figuriamoci se pensano agli intonaci. Le persone sono coperte da lunghi lenzuoli bianchi, lo straniero spicca subito, i bambini giocano, fanno i loro bisogni all’aria aperta, le donne, se sono donne, sono celate da abiti scuri come in un lutto perenne.

Siamo arrivati ad un variopinto mercato, parte da una piazza, poi si districa e si ripartisce in viuzze simili che caratterizzano quartieri di Napoli. Disordine, rumore e capacità di adattamento, spicca in maniera plateale. Sembra un PortaPortese, la domenica mattina, solo che le ‘bancarelle’ sono molto meno fornite. Qualche pollo pende, appeso per le zampe. Legumi e cibi a me sconosciuti, vengono venduti e pesati con delle strane bilance. Le stoffe colorate con metodi naturali, con colorazioni tendenti all’indaco accendono di colore il paesaggio tumultuoso seppiato. Abbiamo un interprete con noi, sembra sia la prassi. Infatti gli usi e costumi degli occidentali, possono essere fraintesi e l’interprete serve anche a questo, appianare questo gap. Le mercanzie esposte sulle bancarelle hanno la loro ombra grazie a dei tendaggi color bianco sporco, i quali si muovono con ritmi ondosi grazie alla brezza termica generata da questo calore asfittico. Questi sono i mercanti ricchi. Man mano che si va avanti in questo bazar di merci e di etnie, dove vieni scrutato furtivamente da occhi che sembrano olive nere, si diradano i banchi, ed è qui che donne, sedute per terra, come stessero facendo elemosina, espongono i loro poveri beni. Qualche statuina intarsiata nel legno, scatolette di varia misura, ciondoli artigianali di dubbio gusto, con fattezze mai invocanti la religione. Strano eppure è il loro credo principale, danno la vita per la religione, li conduce, li influenza nelle scelte semplici e importanti. Probabilmente sono attorniato da simboli iconoclastici ma sono realmente ignorante in proposito, non li conosco e quindi per me non ci sono. Una cosa è certa, seguendo gli insegnamenti e il dubbio operato perpetuato nei secoli della religione cattolica, parecchi di noi occidentali considerano, ad estremo torto, il loro Loro Profeta, poco più di un santone.

Pensando anche qui, come nella breve ‘gita’ nella Cina pechinese, mi fa impressione la ricchezza che abbiamo nelle nostre case. Un’immagine che contrasta fermamente con tutto ciò che ho scritto finora è la presenza del telefonino. Da tonache colorate spuntano fuori nokia e samsung, certo non proprio gli ultimissimi modelli, ma ci sono. Per l’occidente fermare su una fotografia un immagine simile, in questo contesto, a tratti medioevale, potrebbe sembrare una perla, un qualcosa di unico. Credetemi non è cosi. Mi viene da pensare al tipo che gira in Ferrari dalle mie parti, ma ha casa in affitto e va al discount per fare la spesa. (se la fa).

Vorrei, desidero ardentemente una SIM del luogo, ma non abbiamo tempo per comprarla. (Pensate che banalità… desidero una SIM!)

Il trasporto della mercanzia dei commercianti che si dirigono verso le loro destinazioni identifica il loro status sociale. Taluni con automezzi che farebbero ribrezzo anche allo sfasciacarrozze più brutto, biciclette con sopra fino a tre persone, mi sono passate lentamente davanti, altri con bastoni che fanno da braccio della bilancia di cesti alle estremità, altri ancora con cesti adagiati sul capo con un straccio come base.

Qualche camion dalle alte ruote e qualche jeep russa, rimessa a posto chissà quante volte passa per queste strade incurante della polvere che alza e della gente stazionaria sui cigli di queste carreggiate naturali, non di certo progettate da un urbanista attento.

I mezzi pubblici, sono dei pulmans con o senza vetri, non danno l’idea del comfort, qualcuno celeste e bianco, altri di altri colori sbiaditi, senza paraurti. Non credo siano sufficienti per trasportare i tre milioni di persone che mi dicono esserci in questa città.

Parte di questa città è arroccata sulla costa di una montagnetta, le case marroni e beige sono senza finestre, non dico senza aperture, ma proprio senza vetri, o infissi. Non oso chiedere, probabilmente sarà una parte abbandonata. Non è però tutto seppia ora, qualche palazzo esiste anche a più piani, sembrano funghi in un sottobosco beige. Più avanti, la guida ci indica un museo (---)

La sera cala brutalmente e l’escursione termica si sente, dopotutto siamo a 1700 metri di altezza. Oggi mi è sembrato tutto calmo, ma è solo apparente... ad un occhio attento non sfugge. Ovviamente l'agitazione qui è più tangibile rispetto a fuori.

Non ho ancora parlato del cielo di giorno, almeno credo. Il coloro del cielo non è celeste e blu qui. E’ di un colore marrone chiarissimo, dato dal calore che si solleva nell’aria. La terra argillosa è arsa dal sole, sembra non riceva acqua da millenni.
Ora mi sparo per l'ennesima volta la compilation freddy composta da più di trecento canzoni, fin'ora vuoi per una cosa vuoi per un altra ne ho sentite solo una decina. Quale sarà la prossima ?
Vai ipod vai... facci dimenticare.

Tornero’ a scrivere appena posso.

lunedì 18 giugno 2007

Fifteen minutes to go... (II)

Come una sberla in pieno viso, arriva l’ora di mangiare. Si, una sberla in pieno viso, è una cosa che mi disturba profondamente interrompere qualcosa di iniziato, per colpa di qualcuno o qualcosa. Gli orari, da rispettare, chi l’ha stabilito che a mezzogiorno bisogna mangiare? La sirena continua a suonare.

Con un andamento calmo e sereno, ci dirigiamo verso la mensa, è particolare l’aria che si respira, cerchi di cogliere odori lontani, spezie lontane, ma non si ‘annusa’ nulla. L’arredamento della mensa e’ particolarmente inaspettato, sedie arancione e rosse impilabili, tavoli di vetro trasparente, con finiture di alluminio che identificano strutture portanti leggere, forse per abbattere il peso nel trasporto, con i gabbiani. Il design è moderno, come anche il divano posto sulla sinistra appena si entra. La sala è piccola, in relazione alle strutture adiacenti, mi aspettavo più posti a sedere… Un bancone di un improbabile bar, vuoto è laggiù in fondo, davanti a me. Credo sia una mensa per ospiti particolari, riservata a pochi eletti, troppo curata, decisamente molto pulita Il cibo è italiano, la pasta buona, il pollo anche, l’acqua notoriamente insapore, mi sembra diversa. Bene così, mi aspettavo di peggio.

Chissà se gli altri mangiano comodi come noi, e con lo stesso cibo.

Torno al mio lavoro. Il tempo passa o almeno mi sembra. Chiedo di poter fare un ‘giro’ per la citta’ limitrofa. Nessuno degli importanti, nega, nessuno annuisce…. Mah io l’ho chiesto. Vorrei catturare qualcosa di diverso da queste mura posticce che mi circondano. Questo paesaggio di polvere riempito da pochi odori, luminoso forse troppo, ha delle stonature. I container bianchi con le rifiniture laterali celesti, gli altri edifici bassi rettangolari come box che identificano l’internet point, il posto telefonico ‘pubblico’ e l’inutile estintore che dovrebbe domare le fiamme in caso di incendio. L’aria è talmente secca che l’autocombustione credo sia veramente possibile.

La connessione in internet non è stabile, è tempificata, abbiamo a disposizione poco tempo per usufruirne, quando è possibile fare una connessione, la usiamo non per scopi ludici. La tecnica più semplice è preparare il testo prima e poi copiarlo e incollarlo. Non voglio usare e-mail per comunicare, mi scoccia essere tracciato. La sera giunge presto, il tempo vola, la cena pure. E’ ora di dormire, il torpore che ho accumulato tra jet-lag e stanchezza come al solito mi sfibra, mi piace essere coccolato da questo stato è doloroso e piacevole nello stesso tempo.

Accendo l’Ipod, succhio il ramoscello di liquirizia e sulle note di Venditti, mi addormento beatamente. La notte scorre veloce, senza grossi problemi, se ho avuto sogni non li ricordo, se ho avuto incubi, anche. La sveglia, concitata e sottolineata da trambusto di automezzi , non è stata delle migliori.

Ho saputo da poco cosa è successo. Un grave fatto di cronaca, stavolta sono stati trentacinque, che scuote, anche il cuore di pietra che devo e ho in queste mie trasferte obbligate. Il pensiero è ovvio va ai caduti, alle vittime di questo qualcosa, di questo meccanismo perpetuo che credo si sia innestato. Ho notato una cosa particolare, pensavo essendo, un area calda, che le persone qui, nei dintorni, si fossero assuefatti a notizie del genere. Non è così. La consapevolezza che potrebbe capitare qualcosa a chiunque qui è quanto mai vivo.

Non sono così convinto di andare a fare un ‘giro’ ora… anzi per niente. Ecco come si sentono quelli che il giro lo devono fare ‘per forza’… Timore di non tornare.

La gente è sorridente, la gente e corrucciata, l’alternarsi delle emozioni è simile alla varietà di etnie presenti qui. Potrebbe essere in discordanza con quanto detto un attimo fa, ma non lo è, la voglia di dimenticare, o meglio di credere di poter dimenticare. Qualcuno si vede che non ce la fa più, qualcuno è spaesato ma non preoccupato, credo sia arrivato da poco.

Ogni respiro ti ricorda dove sei, aria secca, bruciante, polverosa.

La solita sberla arriva puntuale, è un’altra mezza giornata che passa… la Choice è lontana. Non ho choice per me… ne ora ne mai. Mai dire mai, ma è una frase valida solo quando hai un minimo di speranza, anche nella parte più remota del cuore e della testa. Il sesto senso ti aiuta, delle volte ti distrugge. Ora mi sta distruggendo.

Torno al lavoro, la connessione satellitare è giù, attendo il ponte, anche per mandare un sms. Un semplice sms ti crea disagio, ti fa rendere conto che esistono momenti che sei tagliato fuori dal mondo conosciuto. Tutto quello che hai, a cui sei abituato, appena ti manca, gli attribuisci il vero valore. E’ questo ti fa incazzare ancora di più e che inesorabilmente ti spinge a non avere o volere contatti, per non ferire, per non soffrire.

Domani si esce a fare un giro. Mi chiedo come e a che prezzo, ci accontentano, o almeno così sembra.

(Tornero’ a scrivere appena posso.)

sabato 16 giugno 2007

Fifteen minutes to go... (I)

15 minuti al via...

Quante volte ho sentito questa frase...

Il quindicesimo minuto, lo aspetti con ansia, quasi fosse il 'momento' liberatorio, quello che ti fa dire: siamo in ballo, ormai balliamo.

Ad un paio di minuti, dopo la pronuncia della frase, penso sempre al solito terrore del volo, cerco appigli per dimenticare che fra poco che per qualche migliaio di metri sotto a me c'e' aria e vapore acqueo. Pensi se tornerai, pensi se tutto andra' bene... e immancabilmente, fai il solito ipocrita bilancio di quello che hai fatto nella vita, per la vita. Manca poco, basta poco, il rumore assordante del mezzo, rombante, si attenua appena i carrelli si staccano dal suolo. Come con un senso liberatorio per il timpano, ma inquietante per l'anima. Siamo decollati. La destinazione come al solito è sconosciuta, le persone conosciute, stavolta non ci sono. Si sta zitti, non si parla, ognuno assorto in pensieri noti solo a chi li fa, i tratti del viso non svelano nulla, sarebbero tutti degli ottimi giocatori di poker. Come al solito, anche questa volta, mi guardo intorno, alla ricerca di un sorriso, di un minimo cenno di solidarieta' che non c'e' mai. Piu' di una volta ho provato a farlo per primo, non è stato mai contraccambiato. Non si ride, non si piange, si è concentrati sull'eterno dilemma della vita e della morte.

Le luci della citta' ormai sono sparite. Un rumore elettronico, ti riporta alla realta'. Cerchi di interpretare se è il beep beep dello stallo o un cicalino amico che ti avvisa di una correzione di rotta. Quando si ha paura di volare, anche uno scricchiolio della plastica dovuto allo sbalzo termico, è un acerrimo nemico per il cervello.

'A parte l'aria cosa c'e' sotto di me, dove si sta andando, chissà se qualcuno, giù sulla terra, sta con la testa alzata e si domanda la stessa cosa.'

I pensieri si alternano, sono sicuro del mio lavoro, non sono preoccupazioni inerenti ad esso, i preminenti, quelli che fanno piu' male, affiorano come punte di iceberg. Ecco a che serve stare zitti, ecco a che serve stare per conto proprio, a meditare, ad amplificare inquietudini. Ti sforzi a pensare all'inizio o alla fine di qualche passo importante della vita, ma non ti concentri mai sulla parte centrale, dove sono racchiuse tutte le cose brutte ma anche le cose belle. E' lo stato d'animo, è la paura che non ti fa focalizzare sulle cose belle.

Nella 'dotazione' stavolta ho anche il palmare, per poter prendere gli appunti. Intervallo i pensieri con il giochino del solitario, che in queste situazioni quando riesce, ti illumini di immenso. E' chiaramente un palliativo, è futile, ma serve.

Pensi a chi non hai salutato, pensi se hai chiuso il gas a casa, pensi ai vicini a cui hai lasciato i gatti.

Il sole è morto, quando risusciterà se ci saro' dove saro' ? Si arriva sempre di notte, l'unica cosa amica che ti ritrovi è il cielo, cerchi di orizzontarti con le stelle.

Il cielo è sempre amico, il cielo e le stelle ti dicono sempre dove sei. Non ti tradiscono è come un fedele cane. Quando non si vede per condizioni ambientali sfavorevoli, ...rimani solo per poco con una sensazione di amarezza. La cosapevolezza che è lì, ti conforta. Sempre.

Prendo l'ipod e mi sparo la playlist compilation freddy, inizia con Mike Francis, Survivor.

La lampada rossa si accende, iniziamo la planata verso il solito sconosciuto scalo, le cinture non me le sono mai tolte. Mi danno sicurezza, la solita stolta sicurezza... come che una fascia di qualche materiale sconosciuto, ti renda invulnerabile dal fato.
Rimbalziamo un poco, aumenta il rumore, siamo atterrati nel solito sconosciuto scalo, il silenzio. L'ormai noto rumore della botte con il kerosene riempie i serbatoi. Una nota particolare per i piloti, non si alzano mai dai loro seggiolini, il loro cockpit pieno di lucine e strumenti credo sia il loro ambiente, lo conoscono bene, la grande manopola centrale, ti da' l'idea della robustezza, anche questa minchiata ti tranquillizza. Si riparte, stavolta sono cinque i minuti al via, dopo una ventina di minuti di stasi uditiva.

Verde, la luce è verde, si riparte, l'effetto 'turbo' non e' fluido, è a strattoni, come quando un autobus di linea, con le marce automatiche, strattonando, passa alla marcia superiore. Ho voglia di una sigaretta, ma non si puo', mi mastico l'ennesima radice di Glycyrrhhiza Glabra, liquirizia, almeno cosi è scritto sul pacchetto Sfizia. Aumenta il battito cardiaco, mi eccita, mi rende sveglio, piu' vigile... è masochismo, lo so, sarebbe meglio che mi stordisse, la voglia di avere qualcosa in bocca è piu' forte. Credo la liquirizia sia droga.

Chiudo gli occhi, in cerca del sonno, delle braccia di Morfeo, dio del sonno, ma è impunito, non vuole accogliermi, mi respinge, o forse sono io che ostinatamente le cerco dove non posso trovarle. Rimango con gli occhi chiusi, mi prende il torpore, mi lascio avvolgere, sento i tonfi che preannunciano la fase REM, ma non mi faccio abbindolare, voglio essere sveglio o meglio semi incosciente in caso succedesse qualcosa.

dopo lungo tempo di travaglio mentale, si riaccende la luce rossa, so che stiamo arrivando a destinazione, nessuno me lo ha detto ma lo so, il sesto senso ti aiuta tanto, sopratutto quando gli altri, intorpiditi da orizzonti di lamiera, rumori assordanti, da odori di kerosene e sapori di liquirizia e nicotina sciolta. Ti andrebbe di respirare profondamente e sputare il veleno che hai nel corpo, nell'anima. Non si può fare. Scendiamo di corsa, via su un anonimo autoveicolo di fango. Davanti a noi e dietro a noi due altri veicoli. Si parte di corsa, come una palla di fucile, l'accelerazione sembra più forte del gabbiano che ti ha appena vomitato dal suo metallico ventre, si vomitato, sei stato digerito e poi vomitato. Speriamo che anche per un altra volta, saro' il suo cibo da rivomitare, magari vicino casa.

I comandi impartiti al volante dall'autista sono nervosi, rapidi, precisi. Non guarda la strada, i fari guardano, come lui, il paraurti di quello davanti. I spostamenti sul manto stradale, a volte asfaltato, a volte polveroso, spaziano in tutte le carreggiate, sembra una danza; segue una ritmica che non riesco a cadenzare, a definire... mi convinco che e' casuale. Andiamo veloci siamo sulle 80 mph. Alla mia sinistra c'e' una collina o qualcosa di leggermente piu' alto, stiamo andando a sud sud-ovest. Malgrado non dovrei, sono piu' tranquillo ora c'e' la terra sotto i piedi.

Ecco un curva, poi un'altra a gomito, un grande muro alla mia destra, ce n'e' anche un altro, illuminato, alla mia sinistra. Dopo una serie di zig zag eseguite lentamente, tra barriere di cemento arriviamo ad una curva con spartitraffico, un portone sorvegliato, i fari illuminano il tratto terminale della muraglia con intonaco beige scrostato e affumicato, mi sembra di vedere qualcosa di rosso, aguzzo la vista, troppo tardi si riparte e passiamo il cancello, nessuno mi parla come al solito. Non mi importa. Assegnato l'alloggio in un container, lontano dall'edificio principale. Il container, sembra uno di quelli assegnati, come alloggi provvisori, alle popolazioni terremotate. Non scatto foto, non è possibile. Webcam, digicam, telefonini non sono con me.

Le immagini sono impresse nella mia mente, a breve diverranno ricordi che se invocati dopo qualche tempo, saranno sbiaditi e offuscati da sensazioni estranee.

Morfeo ormai mi accoglie benevolmente, ma brevemente. La notte è finita con un brusco risveglio da una sirena. Preparo la tecnologia informatica, aspetto che mi vengano a chiamare, a prendere. Non tardano ad arrivare. Mentre percorro a piedi un piazzale, disorientato, malgrado il sole sia alle mie spalle, rubo furtivamente con gli occhi informazioni, c'e' la, laggiù in fondo una struttura in muratura, un casermone, sembra un palazzo la struttura è seguita da altre due edifici piu' bassi, davanti, sul lato che costeggia la strada, un enorme anfiteatro artificiale a forma di parentesi quadra delimitato da strutture con tetti grigio marroni a due piani. Hanno tanto da edificio mensa. Questo posto credo sia molto vasto non so dove sia il centro. Una scritta di Essegiit si ripete spesso, un'altra Italian P.X. e un cartello Open nelle vicinanze. Di italiani ce ne sono molti, ma non sono gli unici. Entro in una stanza, e inizio a seguire istruzioni, confrontando pareri, discutendo sull'approccio da mantenere e come fare. E' il mio lavoro. Fa comunque caldo, molto caldo, non ho idea di che ore siano, il mio orologio indica un ora improbabile per il luogo. Lo regolerò appena posso.

Mentre lavoro, penso al cielo, con una sola stella che sta scaldando troppo. Una stella che ci toglie il respiro, una stella che in questo momento non dovrebbe esserci.

giovedì 14 giugno 2007

Orso che dorme...











Le Stelle camminano nello spazio senza fine,
ci donano pace e speranza,
ma sono quasi mai raggiungibili....
Se le sogni, le tocchi, le vedi, senti il loro calore.
Se ti svegli le vedi...ma sfuggono.
Una prima o poi cadra' nella rete....

venerdì 8 giugno 2007

I Parassiti

Cambiando decisamente tono e argomento di riflessione, volevo invitarti ad una breve considerazione insieme a me, essendo tu una confidente, amica di chat e di email. All'inizio sembrera' senza significato, ma non leggerla e interpretarla con ironia, ma come un dato di fatto, per poter continuare, dobbiamo poter rispondere a questa domanda: Chi sono i parassiti ?

"Il parassitismo è una forma di simbiosi, ma a differenza della simbiosi propriamente detta (s.
mutualistica), il parassita trae un vantaggio (nutrimento, protezione) a spese dell'ospite creandogli un danno biologico.Le proprietà che identificano in generale un rapporto di parassitismo sono le seguenti:

Il parassita è privo di vita autonoma e dipende dall'ospite a cui è più o meno intimamente
legato da una relazione anatomica e fisiologica.

Il parassita ha una struttura anatomica e morfologica semplificata rispetto all'ospite. • Il ciclo vitale del parassita è più breve di quello dell'ospite e si conclude prima della
morte dell'ospite.

Il parassita ha rapporti con un solo ospite. A sua volta questi può avere rapporti con più
parassiti.

Il concetto di parassita va distinto da quello di parassitoide: a differenza del parassita
propriamente detto, il parassitoide termina il suo ciclo vitale oppure la fase parassitica del suo
ciclo vitale causando la morte dell'ospite. Questo comportamento si riscontra ad esempio in molti insetti ausiliari, le cui fasi giovanili si svolgono a spese di un ospite che viene ucciso al termine
del ciclo di sviluppo."


(fonte Wikypedia)



Partendo dal paragrafo precedente che mette in chiaro (almeno in parte), chi sono i parassiti, entriamo nel nocciolo del quesito e della riflessione da fare.

Secondo te, chi è il parassita piu' grande della Terra, ovvero il nostro habitat naturale ?


Vediamo come fare per non farti cadere in errore.

Sono esseri che si riproducono in maniera strabiliante, consumano risorse naturali, acqua a non finire, costruiscono tane ovunque sussista un minimo di risorsa, impoveriscono terreni, uccidono il loro ambiente senza vedere il futuro, pensano solo a se stessi, uccidono per divertimento, per egoismo, per imporre la loro egemonia sugli altri esseri e parassiti. I più forti consumano tutto quello che è per loro commestibile senza limiti, i più deboli subiscono, ma anche loro fanno quello che possono. Questi esseri, non favoriscono e difficilmente si impegnano ad agevolare il riciclo di risorse, l'ossigeno viene consumato sia dai loro cicli vitali, sia dai loro strumenti di produzione e trasformazione delle risorse naturali.

Ok ancora non ci siamo? Ti aiuto ancora.


Questi parassiti vedono un bellissimo paesaggio naturale, magari, e non si sa come, ancora incontaminato. Il primo pensiero, ponendo sempre che siano esseri realmente pensanti, è poter costruire una loro tana, depredarlo, nel contempo innescano nuovamente il loro ciclo vitale riproducendosi pur di garantire la sopravvivenza della specie. Non importa a quale costo, non importa se fare la loro tana, muoversi, crescere, distrugga qualche sistema organizzato, qualche milione di essere che ha subìto milioni di anni di evoluzione... Loro non pensano, sono forse inutili, che mi importa sono piccoli e io sono piu' forte, questo è il pensiero egoistico, ipocrita del parassita.

Questi parassiti così agguerriti siamo noi, gli esseri umani.


Quindi Noi, dall'alto della nostra predominanza, basata sul fatto che siamo gli Unici egocentrici, esseri intelligenti, cerchiamo in qualsiasi modo di soverchiare gli altri esseri, anche quando uccidiamo una mosca, una zanzara, un leone un pesce una formica. Senza garantire un ricambio, un riciclo, dimostriamo la nostra forza... bruta e la nostra altrettanto alta stupidita'. Tutto fa
parte di un ecosistema, noi lo abbiamo iniziato ad alterare e a distruggere, dall'eta' della pietra.

Questo ecosistema organizzato perfettamente, dopo milioni di anni di raffinazione, noi lo abbiamo alterato, portando NOI, piante, animali e materiale inerte in giro per il mondo, dalla zanzara tigre nei pneumatici dall'africa, alle blatte californiane dei porti, alla giraffa o all'ippopotamo nel nostro zoo, al pomodoro del sudamerica, dal gabbiano in citta' (roma ne è piena grazie al calore degli scarichi, addirittura non migrano più) al colera, dall'Husky artico al Cirneco dell'etna.

Se continua cosi' un giorno saremo parassitoidi....


Ti prego pensa a cio' quando ucciderai una formica, potrebbe essere una Camponotus, (formica nera gigante), ormai praticamente estinta a causa della rossa feroce anch'essa californiana e portata da Noi), una formica che pulisce i boschi e non di piu'...

Ma se ci pensiamo, ancora c'e' speranza.

sabato 2 giugno 2007

'91, Lampedusa I° atto

Siamo giunti a Lampedusa, per la prima volta, nel novembre del '91.

Appena arrivati su un timido, rattoppato aereo MD80 che aveva buoni freni, mi sono reso conto subito che posto incantato potesse essere. La pista d'atterraggio a strapiombo su una estremità, il castello di Giuseppe Tomasi dall'altra, confermava la frase colta al volo, prima di salire dallo scalo palermitano, del comandante 'andiamo ad atterrare sul francobollo', (inquietantissima). Percepire questa frase è stato possibile, purtroppo, grazie al fatto che il comandante sceso dall'aereo si è dovuto occupare personalmente della mia canna da pesca Franchi di 6 mt divisa in due. Infatti al check-in non mi avevano fermato e quindi passato 'sto controllo il comandante stesso se la doveva sbrigare.
Salgo su questo bellissimo 'aquilone', facendo gesti apotropaici, dando importanza massima all'esile parte di me da fedele cattolico, chiudo gli occhi e mi faccio stordire dal rumore del motore.

Tante sono state le vacanze di 'pesca' con amici e colleghi di ufficio, questa la prima. A quel tempo eravamo più spensierati e aspetto da non sottovalutare: non c'era l'euro.
In questa isola minuscola, dalla forma un pò strana, vista dall'aereo e ora da google earth, ultimo avamposto abitato italiano, si respirava un'aria familiare. Le persone sorridenti, con visi cotti dal sole, dalla salsedine e dal lavoro duro di pescatori, riempivano l'unico corso, l'unica via dove era possibile trovare un bar, un tabacchi, un emporio, frutta e verdura (a Lampedusa!), pesce, pesce a non finire. Avete presente quegli arbusti rotolanti sempre presenti nei film wester di Sergio Leone, le strade deserte, la calura estiva, le forme delle case lontane bianche e celesti, alterate dal calore riflesso dalla terra ?, bene questa era Lampedusa nel 1991. Terra decisamente incontaminata da speculazione edilizia, sbarchi di extracomunitari, delinquenza e egoismo.

Prendiamo possesso della casa, non ricordo come, ma ricordo dove. Un primo piano di una villetta a schiera, a poche centinaia di metri dal castello di Tomasi, ad una decina da un'ansa del porto. Il panorama, all'imbrunire, immortalato in una foto, sembra un poster di quelli che vengono venduti nelle cartolerie.


La terrazza non molto ampia, coperta, ed incorniciata in un arco bianco, dipinto di fresco. Tale terrazza era il nostro angolo 'preparatorio' per ami, canne, mulinelli, esche.


Non ho intenzione di annoiarvi nel raccontare tutta la vacanza, ma un particolare, credo simpatico, è degno di nota.


Appena arrivati in questo posto bellissimo, si è prospettato subito il problema cibo. La stanchezza del viaggio infondeva una pigrizia, non troppo sconosciuta a tutti noi. Lo stomaco rantolava, con gorgoglii rumorosi. Si decise, come prima sera di andare al ristorante. Sembra facile, in Lampedusa, in tutta l'isola i ristoranti erano due. Uno chiuso e uno aperto, sul porto. Un edificio assolutamente privo di tratti caratteristici, un parallelepipedo appoggiato con finestre in alluminio anodizzato color oro, butterato da rilievi bianchi... cristalli di sale; tendine tra il grigio e il giallo nicotina e doppi vetri sporchi nell'intercapedine, sintomo che il sale all'interno non era sufficiente ad accumulare umidita'.

All'entrata un cartello bianco annunciava a chiare lettere 'Cuscus di cernia'. Entriamo guardinghi aspettandoci una presenza curiosa in sala. La sala era vuota con due tavoli apparecchiati alla meno peggio, gli altri con il sottotovaglia color porpora. Il silenzio, il vuoto, la desolazione. L'impatto fu sconfortante. In fondo alla sala un signore magrissimo con la solita faccia cotta da sole e salsedine, faceva cenni senza proferire verbo. Capimmo il perchè un attimo dopo. Il gentilissimo signore, sulla settantina, era stato operato ad Agrigento, alle corde vocali, e l'unico mezzo di comunicazione, era un apparecchietto, simile ad un microfono, (la prima volta che vidi simile strumento), traduceva o amplificava i movimenti del pomo di adamo in suoni prossimi a parole interpretabili da noi. Il suono era metallico, sembrava provenire da un racconto di Asimov su androidi e robot. L'imbarazzo iniziale e il pensiero 'in che posto siamo capitati' fu subito fugato dall'affabile personaggio che ci propose l'ormai noto cuscus, come primo, e aragosta come secondo. Accettammo, senza pensare, il menù consigliatoci, anche perche', sapemmo poi, l'alternativa erano patatine fritte, hamburger, o il temuto digiuno.

E' qui che viene il bello... Un nostro collega tale Pino, non mangiava pesce e con una naturalezza e una faccia d'angelo chiese se poteva avere un 'Cuscus con la Carne '. Il tipo, cuoco, cameriere, cassiere, uomo delle pulizie, si porto' l'apparecchio alla gola e chiese stupito, con marcato accento siciliano disse testuali parole: 'mma pecche' o coscusso se fa pure co la canne ?'. Da li capimmo che le aragoste dovevano essere fantastiche e la cernia non da meno.

L'amico si accontentò di una serie di hamburger e patatine fritte (a Lampedusa !), noi ci deliziammo con un chiletto a cranio di aragoste. Il terrore, leggibile nei nostri sguardi e nelle nostre nervose movenze, sopraggiunto a pancia piena, era di conoscere l'importo del conto. Noi quattro, complessivamente, frugando nelle tasche, raccimolammo in totale un centinaio di mila lire, (sante lire), consci che se il tipo avesse 'sparato' di più l'unica possibilità, di salvezza era un bancomat oltre la cortina di polvere dal lato opposto della citta'. Il tipo doveva e poteva stare tranquillo comunque, l'aereo per fuggire sarebbe tornato dopo tre giorni, la nave dopo due.

Chiediamo il conto!.

TADAAAA l'importo totale è stato di 38.000 lire. Nulla. Ci siamo ritornati per 5 giorni consecutivi, ovvero tutta la vacanza a cena.

Un pezzo d'oriente, da un ricordo sbiadito.

Nuvole e Sole

Come da richiesta nel commento... da una email del 16 maggio 2007 (con rivisitazione.)

"Notte tomultuosa, sia per il jet lag, che per l'attacco d'asma dato forse dalla presenza di muffe cinesi.
Gli odori, dolciastri e acri di cibo cotto, immancabili, penetranti, che sono di corollario al mio risveglio, hanno ormai preso il sopravvento, infatti mi sto già abituando. Non essendo snob e chiuso a nuove esperienze devo dire che le 'specialita' del luogo' non sono cosi' male, basta non pensare a come sono state cucinate. Banchetti di cibi cotti e crudi sul ciglio della strada, caratterizzano la via dal nome impronunciabile dove sono temporaneamente domiciliato.
Qui il sole credo sia alto, la coltre nuvolosa, presente in questa località vicino Pechino, è generata da un irresponsabile crescita economica del settore industriale. Ottimizzazione del profitto con manodopera a basso costo con dispendio di risorse fossili indicibile.
Sembra di vedere quelle illustrazioni del 1800 - 1900 della prima e seconda rivoluzione industriale avvenuta in Inghilterra. Anche qui l'effetto serra sara' sicuramente devastante. Il cielo è rosso con tonalita' di un inquietante grigio in alcune parti, il Sole, quando si affaccia, è schermato come quando, con un vetrino affumicato, cerchiamo di vedere una eclissi. La luna non c'e' o non si vede. Le stelle intese come oggetti celesti non ci sono, una sola ne vedo, ma nel mio cuore.
Quello che in Italia si guadagna in un anno penso possa bastare per una vita ad una intera e numerosissima famiglia autoctona. Questo ci deve far pensare a come, a quando, ci lamentiamo perche' magari nn abbiamo il telefonino di ultima generazione o il plasma do 50 pollici.

Ecco, un altra emozione o sentimento che tocchi con dito, qui è l'ipocrisia latente e serpeggiante, che abbiamo dentro di noi, qui riaffiora nella massima espressione e fa male, cavolo quanto fa male. Mi viene in mente un pensiero di Albert Einstein. Egli affermo' che un essere umano è parte della totalita' che chiamiamo universo, una parte limitata nello spazio e nel tempo. Percepisce se stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti come un'entita' separata dal resto, una specie di illusione ottica della sua coscienza. Questa illusione è una prigione per noi, perche' ci limita ai nostri desideri personali e a provare sentimenti di affetto solo per quelle poche persone che ci sono piu' vicine. Il nostro compito è quello di liberarci da questa prigione, ampliando la nostra compassione, fino ad includere tutti gli esseri viventi e tutta la natura.
Riflettiamo gente, riflettiamo.

Qui la gente nn si ferma mai, un costante riciclo di persone riempie la strada, le case coloratissime, povere e ricche nel contempo, sembrano tutte uguali, ma nessuno è uguale e questo lo sappiamo bene. Mi andrebbe di parlare nella loro lingua, chiedere, domandare, capire conoscere i loro pensieri, le loro emozioni, chiedere un semplice ma profondo ... come stai.
I loro segni pittorici, dal significato sconosciuto, ti fanno piegare la testa da un lato, come per carpire un qualcosa di familiare, che potesse dare una spiegazione... nulla di cio' solo che sono belli a vedersi. Morirò con l'amaro di non aver capito ciò che era scritto. (magari pesce fresco).

Il mio inglese non è dei migliori, ma qui l'inglese non esiste, almeno qui dove sono ora, solo un web amico ne è costellato. I suoni delle loro parole sembrano smezzati, ma seguono un ritmo un veloce ritmo che fa' trasparire musicalità degli animi.

Una tristezza, relativa, ma sempre tristezza, pervade il mio animo. Cio' è dovuto forse alla consapevolezza di non poter tornare piu' in questi lontani luoghi. La paura dell'aereo è sicuramente piu' incisiva rispetto alla mia fertile curiosità. La quotidianita' di questo luogo arricchisce chiunque. Le statue del Dio Buddha, adornate di stralli coloratissimi con sfumature porpora ed oro, complemento onnipresente in angoli sparuti e inaspettati, sembrano infondere non solo pace e tranquillità ma anche un monito alla vita terrena. La sensazione che ci sia un qualcosa dopo la fine di questa vita qui è molto molto piu' forte.
Il rumore cadenzato di pedali della miriade di biciclette che passano sotto la finestra, non è fastidioso, anzi scandiscono il tempo come un orologio, umano.
La gente, incredibilmente sorridente, sembra abituata a questo ambiente tumultuoso. Qui si soffre, si soffre veramente. La pelle è scavata, rugosa... qui la poverta' esiste davvero in una forma sconosciuta a noi. Non credo che altrettanto sia nei loro animi, repressi, dalle vicende della vita e dai loro governi. La radio trasmette voci, alternate a musiche tutte uguali. Probabilmente non riesco a cogliere le sfumature musicali che rendono le canzoni l'une diverse dalle altre.
Pochi sono i mestieri, gente cucina, gente ricama, gente lavora in fabbriche per 16 - 20 ore, gente che si vende, dà se stessa per soldi, donne che vendono un 'gaio cesto d'amore che amor non è mai' (L.Battisti)
Le auto, strane, occidentali nessuna... secondo me sono delle caldaie a carbone ambulanti, infatti mandano fumo nero, come le ciminiere che sono visibili sull'orizzonte, (saranno forse tubi di scarico di auto gigantesche ?).
Qui kioto non esiste. Ci avvelenano. Gaia, il nostro pianeta, inteso come organismo vivente, qui soffre di piu'. Quest'angolo deve essere una delle più grandi ferite per la nostra terra.
I bambini che vediamo fermi ad i nostri semafori per pulire i vetri qui non puliscono, stanno seduti o in braccio alle mamme, sono sorridenti, taluni piangenti, taluni sporchi, taluni puliti. Sarà la conformazione degli occhi ma sembra tutti abbiano la congiuntivite.

Questo saper vivere mi fa pensare e mi basta nel contempo. "


... Non tornerò più qui...

Mattinata Imprevista...

Ora Sole.
Ieri sera nuvole nere.

Ieri sera, sono andato a letto prestissimo, un dolore lancinante alla milza o pancreas che sia, mi ha lasciato senza fiato. Essendo andato a letto cosi' presto, mi sono svegliato all'alba. Per alba intendo dire talmente presto che sarei potuto andare a caccia (che odio) o a pesca.

Involontariamente, ho acceso il telefonino, gesto consueto dopo aver inforcato gli occhiali, subito è arrivato un messaggio: 'Ciao ... stiamo partento da Brescia, sono le 6:40 Ci vediamo a Roma.' BOOOOMM mi ero dimenticato che per questo fine settimana, arrivava Davide e Silvia. Lui Top Gun dello sci, guida alpina, agente di viaggio. Il papa' (il Toni), scalatore pazzo di montagne e gran canyon, alpinista, guida di sci alpino... praticamente un Messner ma sconosciuto. Silvia (la ragazza di Davide), consulente finanziaria. Simpaticissimo personaggio il 'Davide' compagno di sci a sorpresa in qualche settimana bianca, qualche scorribanda fumereccia e sopratutto persona educatissima e precisa. Lei, mai vista prima, si è rivelata una bellissima ragazza, si vede da un miglio che lo ama, proprio una bella coppia.
Ho conosciuto Davide nel Gennaio del 2000, e faceva l'accompagnatore di viaggio in una settimana bianca organizzata con un gigantesco gruppo di lavoro di estetiste. Subito è nato un feeling disinteressato e schietto. Ci sentiamo spesso in Messenger e appena possibile lui viene a Roma.

Alle 9,40 all'aereoporto e subito li ho scarrozzati fino a casa, dove dopo qualche caffe, sigaretta e taralluccio pugliese, li ho riaccompagnati al treno per raggiungere Roma. Domani saranno qui a casa.

Ora faccio il ragu' che stasera ho gente a cena. Spero di poter scrivere nel pomeriggio, l'avventura dell'autolavaggio.

La Stella ha gia' brillato due volte.

venerdì 1 giugno 2007

Impulsiva... del 79

... da una email di una persona molto cara, il contesto non conta, ma il significato fa riflettere. Saper riconoscere i propri errori a fronte di perdere qualcosa di piu' importante, l'amicizia. Bene non sò se riuscirò mai ad ammettere così bene i miei errori. Lei lo ha fatto...

"Sono stata precipitosa, come sempre... e se un giorno riuscirò a levarmi sta cazzo di impulsività, probabilmente ferirò molte meno persone di quante ne abbia ferito sin da ora.

Ti chiedo perdono se ti ho ferito... e te lo chiedo con il cuore in mano... con quel cuore che ti ha dentro e che ti vuole un mondo di bene... Tu sei stato vittima della mia rabbia per tutti coloro che mi reputano una persona incapace di capire da sola "certe cose"....non immagini nemmeno quanta gente si fa maestra, quanta gente ritiene di sapere cosa giusto per me, ritiene che io sia una povera ingenua... Tu non hai colpa... sei stato una valvola di sfogo.....solo questo..... E non dirmi "fosse l'ultima volta che ci sentiamo" .... non lo accetto... noi saremo amici per sempre DACCORDO?"
Una risposta affermativa c'e' stata. E' stata d'obbligo e sentita...

Il tempo...

Un giorno, il tempo, avra' decantato tutto, tranne i nostri pensieri piu' profondi, i sentimenti veri, l'amore vero per gli altri, il bene puro. Le stronzate moriranno, e il tempo ancora, come un abile potatore di pianta, lascera' solo il meglio.

E il risultato sarà la nascita di germogli nuovi, resistenti, temprati, per dare nuovi fiori e un nuovo significato all'esistenza e di piu'.... all'anima.

Da dove iniziare ?

Tante cose vorrei dire, ma vorrei filtrarle. Non voglio parlare di me, di come sono, ma vorrei parlare comunque di ciò che succede.

Gli argomenti che ho intenzione di approfondire sono la mia vita di pendolare, le mie impressioni su fatti che accadono, sulla vita di SecondLife, sui miei contatti, e su tutto quello che mi passa per la testa.

Da poco ho deciso di scrivere e ne approfitterò per farlo su questo Blog.

L'avventura del signor bonaventura

E' una frase riciclata, desueta e passata... ritrovata nei meandri della mente, quando la mia bisnonna voleva darmi da mangiare... (anche l'inappetenza è un ricordo lontano).
Mi ritorna in mente, velatamente ogni volta che faccio qualcosa di nuovo.
Anche ora, anche oggi... forse mi perseguitera' per sempre.

Oggi è sole. Domani nuvole. Forse si. Forse no.