15 minuti al via...
Quante volte ho sentito questa frase...
Il quindicesimo minuto, lo aspetti con ansia, quasi fosse il 'momento' liberatorio, quello che ti fa dire: siamo in ballo, ormai balliamo.
Ad un paio di minuti, dopo la pronuncia della frase, penso sempre al solito terrore del volo, cerco appigli per dimenticare che fra poco che per qualche migliaio di metri sotto a me c'e' aria e vapore acqueo. Pensi se tornerai, pensi se tutto andra' bene... e immancabilmente, fai il solito ipocrita bilancio di quello che hai fatto nella vita, per la vita. Manca poco, basta poco, il rumore assordante del mezzo, rombante, si attenua appena i carrelli si staccano dal suolo. Come con un senso liberatorio per il timpano, ma inquietante per l'anima. Siamo decollati. La destinazione come al solito è sconosciuta, le persone conosciute, stavolta non ci sono. Si sta zitti, non si parla, ognuno assorto in pensieri noti solo a chi li fa, i tratti del viso non svelano nulla, sarebbero tutti degli ottimi giocatori di poker. Come al solito, anche questa volta, mi guardo intorno, alla ricerca di un sorriso, di un minimo cenno di solidarieta' che non c'e' mai. Piu' di una volta ho provato a farlo per primo, non è stato mai contraccambiato. Non si ride, non si piange, si è concentrati sull'eterno dilemma della vita e della morte.
Le luci della citta' ormai sono sparite. Un rumore elettronico, ti riporta alla realta'. Cerchi di interpretare se è il beep beep dello stallo o un cicalino amico che ti avvisa di una correzione di rotta. Quando si ha paura di volare, anche uno scricchiolio della plastica dovuto allo sbalzo termico, è un acerrimo nemico per il cervello.
'A parte l'aria cosa c'e' sotto di me, dove si sta andando, chissà se qualcuno, giù sulla terra, sta con la testa alzata e si domanda la stessa cosa.'
I pensieri si alternano, sono sicuro del mio lavoro, non sono preoccupazioni inerenti ad esso, i preminenti, quelli che fanno piu' male, affiorano come punte di iceberg. Ecco a che serve stare zitti, ecco a che serve stare per conto proprio, a meditare, ad amplificare inquietudini. Ti sforzi a pensare all'inizio o alla fine di qualche passo importante della vita, ma non ti concentri mai sulla parte centrale, dove sono racchiuse tutte le cose brutte ma anche le cose belle. E' lo stato d'animo, è la paura che non ti fa focalizzare sulle cose belle.
Nella 'dotazione' stavolta ho anche il palmare, per poter prendere gli appunti. Intervallo i pensieri con il giochino del solitario, che in queste situazioni quando riesce, ti illumini di immenso. E' chiaramente un palliativo, è futile, ma serve.
Pensi a chi non hai salutato, pensi se hai chiuso il gas a casa, pensi ai vicini a cui hai lasciato i gatti.
Il sole è morto, quando risusciterà se ci saro' dove saro' ? Si arriva sempre di notte, l'unica cosa amica che ti ritrovi è il cielo, cerchi di orizzontarti con le stelle.
Il cielo è sempre amico, il cielo e le stelle ti dicono sempre dove sei. Non ti tradiscono è come un fedele cane. Quando non si vede per condizioni ambientali sfavorevoli, ...rimani solo per poco con una sensazione di amarezza. La cosapevolezza che è lì, ti conforta. Sempre.
Prendo l'ipod e mi sparo la playlist compilation freddy, inizia con Mike Francis, Survivor.
La lampada rossa si accende, iniziamo la planata verso il solito sconosciuto scalo, le cinture non me le sono mai tolte. Mi danno sicurezza, la solita stolta sicurezza... come che una fascia di qualche materiale sconosciuto, ti renda invulnerabile dal fato.
Rimbalziamo un poco, aumenta il rumore, siamo atterrati nel solito sconosciuto scalo, il silenzio. L'ormai noto rumore della botte con il kerosene riempie i serbatoi. Una nota particolare per i piloti, non si alzano mai dai loro seggiolini, il loro cockpit pieno di lucine e strumenti credo sia il loro ambiente, lo conoscono bene, la grande manopola centrale, ti da' l'idea della robustezza, anche questa minchiata ti tranquillizza. Si riparte, stavolta sono cinque i minuti al via, dopo una ventina di minuti di stasi uditiva.
Verde, la luce è verde, si riparte, l'effetto 'turbo' non e' fluido, è a strattoni, come quando un autobus di linea, con le marce automatiche, strattonando, passa alla marcia superiore. Ho voglia di una sigaretta, ma non si puo', mi mastico l'ennesima radice di Glycyrrhhiza Glabra, liquirizia, almeno cosi è scritto sul pacchetto Sfizia. Aumenta il battito cardiaco, mi eccita, mi rende sveglio, piu' vigile... è masochismo, lo so, sarebbe meglio che mi stordisse, la voglia di avere qualcosa in bocca è piu' forte. Credo la liquirizia sia droga.
Chiudo gli occhi, in cerca del sonno, delle braccia di Morfeo, dio del sonno, ma è impunito, non vuole accogliermi, mi respinge, o forse sono io che ostinatamente le cerco dove non posso trovarle. Rimango con gli occhi chiusi, mi prende il torpore, mi lascio avvolgere, sento i tonfi che preannunciano la fase REM, ma non mi faccio abbindolare, voglio essere sveglio o meglio semi incosciente in caso succedesse qualcosa.
dopo lungo tempo di travaglio mentale, si riaccende la luce rossa, so che stiamo arrivando a destinazione, nessuno me lo ha detto ma lo so, il sesto senso ti aiuta tanto, sopratutto quando gli altri, intorpiditi da orizzonti di lamiera, rumori assordanti, da odori di kerosene e sapori di liquirizia e nicotina sciolta. Ti andrebbe di respirare profondamente e sputare il veleno che hai nel corpo, nell'anima. Non si può fare. Scendiamo di corsa, via su un anonimo autoveicolo di fango. Davanti a noi e dietro a noi due altri veicoli. Si parte di corsa, come una palla di fucile, l'accelerazione sembra più forte del gabbiano che ti ha appena vomitato dal suo metallico ventre, si vomitato, sei stato digerito e poi vomitato. Speriamo che anche per un altra volta, saro' il suo cibo da rivomitare, magari vicino casa.
I comandi impartiti al volante dall'autista sono nervosi, rapidi, precisi. Non guarda la strada, i fari guardano, come lui, il paraurti di quello davanti. I spostamenti sul manto stradale, a volte asfaltato, a volte polveroso, spaziano in tutte le carreggiate, sembra una danza; segue una ritmica che non riesco a cadenzare, a definire... mi convinco che e' casuale. Andiamo veloci siamo sulle 80 mph. Alla mia sinistra c'e' una collina o qualcosa di leggermente piu' alto, stiamo andando a sud sud-ovest. Malgrado non dovrei, sono piu' tranquillo ora c'e' la terra sotto i piedi.
Ecco un curva, poi un'altra a gomito, un grande muro alla mia destra, ce n'e' anche un altro, illuminato, alla mia sinistra. Dopo una serie di zig zag eseguite lentamente, tra barriere di cemento arriviamo ad una curva con spartitraffico, un portone sorvegliato, i fari illuminano il tratto terminale della muraglia con intonaco beige scrostato e affumicato, mi sembra di vedere qualcosa di rosso, aguzzo la vista, troppo tardi si riparte e passiamo il cancello, nessuno mi parla come al solito. Non mi importa. Assegnato l'alloggio in un container, lontano dall'edificio principale. Il container, sembra uno di quelli assegnati, come alloggi provvisori, alle popolazioni terremotate. Non scatto foto, non è possibile. Webcam, digicam, telefonini non sono con me.
Le immagini sono impresse nella mia mente, a breve diverranno ricordi che se invocati dopo qualche tempo, saranno sbiaditi e offuscati da sensazioni estranee.
Morfeo ormai mi accoglie benevolmente, ma brevemente. La notte è finita con un brusco risveglio da una sirena. Preparo la tecnologia informatica, aspetto che mi vengano a chiamare, a prendere. Non tardano ad arrivare. Mentre percorro a piedi un piazzale, disorientato, malgrado il sole sia alle mie spalle, rubo furtivamente con gli occhi informazioni, c'e' la, laggiù in fondo una struttura in muratura, un casermone, sembra un palazzo la struttura è seguita da altre due edifici piu' bassi, davanti, sul lato che costeggia la strada, un enorme anfiteatro artificiale a forma di parentesi quadra delimitato da strutture con tetti grigio marroni a due piani. Hanno tanto da edificio mensa. Questo posto credo sia molto vasto non so dove sia il centro. Una scritta di Essegiit si ripete spesso, un'altra Italian P.X. e un cartello Open nelle vicinanze. Di italiani ce ne sono molti, ma non sono gli unici. Entro in una stanza, e inizio a seguire istruzioni, confrontando pareri, discutendo sull'approccio da mantenere e come fare. E' il mio lavoro. Fa comunque caldo, molto caldo, non ho idea di che ore siano, il mio orologio indica un ora improbabile per il luogo. Lo regolerò appena posso.
Mentre lavoro, penso al cielo, con una sola stella che sta scaldando troppo. Una stella che ci toglie il respiro, una stella che in questo momento non dovrebbe esserci.
Quante volte ho sentito questa frase...
Il quindicesimo minuto, lo aspetti con ansia, quasi fosse il 'momento' liberatorio, quello che ti fa dire: siamo in ballo, ormai balliamo.
Ad un paio di minuti, dopo la pronuncia della frase, penso sempre al solito terrore del volo, cerco appigli per dimenticare che fra poco che per qualche migliaio di metri sotto a me c'e' aria e vapore acqueo. Pensi se tornerai, pensi se tutto andra' bene... e immancabilmente, fai il solito ipocrita bilancio di quello che hai fatto nella vita, per la vita. Manca poco, basta poco, il rumore assordante del mezzo, rombante, si attenua appena i carrelli si staccano dal suolo. Come con un senso liberatorio per il timpano, ma inquietante per l'anima. Siamo decollati. La destinazione come al solito è sconosciuta, le persone conosciute, stavolta non ci sono. Si sta zitti, non si parla, ognuno assorto in pensieri noti solo a chi li fa, i tratti del viso non svelano nulla, sarebbero tutti degli ottimi giocatori di poker. Come al solito, anche questa volta, mi guardo intorno, alla ricerca di un sorriso, di un minimo cenno di solidarieta' che non c'e' mai. Piu' di una volta ho provato a farlo per primo, non è stato mai contraccambiato. Non si ride, non si piange, si è concentrati sull'eterno dilemma della vita e della morte.
Le luci della citta' ormai sono sparite. Un rumore elettronico, ti riporta alla realta'. Cerchi di interpretare se è il beep beep dello stallo o un cicalino amico che ti avvisa di una correzione di rotta. Quando si ha paura di volare, anche uno scricchiolio della plastica dovuto allo sbalzo termico, è un acerrimo nemico per il cervello.
'A parte l'aria cosa c'e' sotto di me, dove si sta andando, chissà se qualcuno, giù sulla terra, sta con la testa alzata e si domanda la stessa cosa.'
I pensieri si alternano, sono sicuro del mio lavoro, non sono preoccupazioni inerenti ad esso, i preminenti, quelli che fanno piu' male, affiorano come punte di iceberg. Ecco a che serve stare zitti, ecco a che serve stare per conto proprio, a meditare, ad amplificare inquietudini. Ti sforzi a pensare all'inizio o alla fine di qualche passo importante della vita, ma non ti concentri mai sulla parte centrale, dove sono racchiuse tutte le cose brutte ma anche le cose belle. E' lo stato d'animo, è la paura che non ti fa focalizzare sulle cose belle.
Nella 'dotazione' stavolta ho anche il palmare, per poter prendere gli appunti. Intervallo i pensieri con il giochino del solitario, che in queste situazioni quando riesce, ti illumini di immenso. E' chiaramente un palliativo, è futile, ma serve.
Pensi a chi non hai salutato, pensi se hai chiuso il gas a casa, pensi ai vicini a cui hai lasciato i gatti.
Il sole è morto, quando risusciterà se ci saro' dove saro' ? Si arriva sempre di notte, l'unica cosa amica che ti ritrovi è il cielo, cerchi di orizzontarti con le stelle.
Il cielo è sempre amico, il cielo e le stelle ti dicono sempre dove sei. Non ti tradiscono è come un fedele cane. Quando non si vede per condizioni ambientali sfavorevoli, ...rimani solo per poco con una sensazione di amarezza. La cosapevolezza che è lì, ti conforta. Sempre.
Prendo l'ipod e mi sparo la playlist compilation freddy, inizia con Mike Francis, Survivor.
La lampada rossa si accende, iniziamo la planata verso il solito sconosciuto scalo, le cinture non me le sono mai tolte. Mi danno sicurezza, la solita stolta sicurezza... come che una fascia di qualche materiale sconosciuto, ti renda invulnerabile dal fato.
Rimbalziamo un poco, aumenta il rumore, siamo atterrati nel solito sconosciuto scalo, il silenzio. L'ormai noto rumore della botte con il kerosene riempie i serbatoi. Una nota particolare per i piloti, non si alzano mai dai loro seggiolini, il loro cockpit pieno di lucine e strumenti credo sia il loro ambiente, lo conoscono bene, la grande manopola centrale, ti da' l'idea della robustezza, anche questa minchiata ti tranquillizza. Si riparte, stavolta sono cinque i minuti al via, dopo una ventina di minuti di stasi uditiva.
Verde, la luce è verde, si riparte, l'effetto 'turbo' non e' fluido, è a strattoni, come quando un autobus di linea, con le marce automatiche, strattonando, passa alla marcia superiore. Ho voglia di una sigaretta, ma non si puo', mi mastico l'ennesima radice di Glycyrrhhiza Glabra, liquirizia, almeno cosi è scritto sul pacchetto Sfizia. Aumenta il battito cardiaco, mi eccita, mi rende sveglio, piu' vigile... è masochismo, lo so, sarebbe meglio che mi stordisse, la voglia di avere qualcosa in bocca è piu' forte. Credo la liquirizia sia droga.
Chiudo gli occhi, in cerca del sonno, delle braccia di Morfeo, dio del sonno, ma è impunito, non vuole accogliermi, mi respinge, o forse sono io che ostinatamente le cerco dove non posso trovarle. Rimango con gli occhi chiusi, mi prende il torpore, mi lascio avvolgere, sento i tonfi che preannunciano la fase REM, ma non mi faccio abbindolare, voglio essere sveglio o meglio semi incosciente in caso succedesse qualcosa.
dopo lungo tempo di travaglio mentale, si riaccende la luce rossa, so che stiamo arrivando a destinazione, nessuno me lo ha detto ma lo so, il sesto senso ti aiuta tanto, sopratutto quando gli altri, intorpiditi da orizzonti di lamiera, rumori assordanti, da odori di kerosene e sapori di liquirizia e nicotina sciolta. Ti andrebbe di respirare profondamente e sputare il veleno che hai nel corpo, nell'anima. Non si può fare. Scendiamo di corsa, via su un anonimo autoveicolo di fango. Davanti a noi e dietro a noi due altri veicoli. Si parte di corsa, come una palla di fucile, l'accelerazione sembra più forte del gabbiano che ti ha appena vomitato dal suo metallico ventre, si vomitato, sei stato digerito e poi vomitato. Speriamo che anche per un altra volta, saro' il suo cibo da rivomitare, magari vicino casa.
I comandi impartiti al volante dall'autista sono nervosi, rapidi, precisi. Non guarda la strada, i fari guardano, come lui, il paraurti di quello davanti. I spostamenti sul manto stradale, a volte asfaltato, a volte polveroso, spaziano in tutte le carreggiate, sembra una danza; segue una ritmica che non riesco a cadenzare, a definire... mi convinco che e' casuale. Andiamo veloci siamo sulle 80 mph. Alla mia sinistra c'e' una collina o qualcosa di leggermente piu' alto, stiamo andando a sud sud-ovest. Malgrado non dovrei, sono piu' tranquillo ora c'e' la terra sotto i piedi.
Ecco un curva, poi un'altra a gomito, un grande muro alla mia destra, ce n'e' anche un altro, illuminato, alla mia sinistra. Dopo una serie di zig zag eseguite lentamente, tra barriere di cemento arriviamo ad una curva con spartitraffico, un portone sorvegliato, i fari illuminano il tratto terminale della muraglia con intonaco beige scrostato e affumicato, mi sembra di vedere qualcosa di rosso, aguzzo la vista, troppo tardi si riparte e passiamo il cancello, nessuno mi parla come al solito. Non mi importa. Assegnato l'alloggio in un container, lontano dall'edificio principale. Il container, sembra uno di quelli assegnati, come alloggi provvisori, alle popolazioni terremotate. Non scatto foto, non è possibile. Webcam, digicam, telefonini non sono con me.
Le immagini sono impresse nella mia mente, a breve diverranno ricordi che se invocati dopo qualche tempo, saranno sbiaditi e offuscati da sensazioni estranee.
Morfeo ormai mi accoglie benevolmente, ma brevemente. La notte è finita con un brusco risveglio da una sirena. Preparo la tecnologia informatica, aspetto che mi vengano a chiamare, a prendere. Non tardano ad arrivare. Mentre percorro a piedi un piazzale, disorientato, malgrado il sole sia alle mie spalle, rubo furtivamente con gli occhi informazioni, c'e' la, laggiù in fondo una struttura in muratura, un casermone, sembra un palazzo la struttura è seguita da altre due edifici piu' bassi, davanti, sul lato che costeggia la strada, un enorme anfiteatro artificiale a forma di parentesi quadra delimitato da strutture con tetti grigio marroni a due piani. Hanno tanto da edificio mensa. Questo posto credo sia molto vasto non so dove sia il centro. Una scritta di Essegiit si ripete spesso, un'altra Italian P.X. e un cartello Open nelle vicinanze. Di italiani ce ne sono molti, ma non sono gli unici. Entro in una stanza, e inizio a seguire istruzioni, confrontando pareri, discutendo sull'approccio da mantenere e come fare. E' il mio lavoro. Fa comunque caldo, molto caldo, non ho idea di che ore siano, il mio orologio indica un ora improbabile per il luogo. Lo regolerò appena posso.
Mentre lavoro, penso al cielo, con una sola stella che sta scaldando troppo. Una stella che ci toglie il respiro, una stella che in questo momento non dovrebbe esserci.
2 commenti:
Senza fiato e senza parole... ma soprattutto tanto emozionata per il coraggio e la forza che solo un vero Uomo ha.... e questa è l'ennesima dimostrazione che tu un Uomo vero lo diventi giorno per giorno... con le tue scelte, con le tue paure, con le tue speranze.
La Stella, ti accompagnerà in ogni istante e con la sua luce, seppure lontanissima, cercherà di infonderti tutta la calma e la serenità di cui hai bisogno per far fronte a questa ennesima "avventura"....
Me lo sentivo che sarebbe stato un "si", anche se fino all'ultimo ho sperato in un "no"...
Tutto andrà bene, me lo sento... e lo so...
Ti abbraccio come mai ho fatto...
grazie della comprensione! ;)
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